Una permanenza minima di due notti negli alloggi dei centri storici delle grandi città e dei comuni turistici, se prenotati su piattaforme on line, Airbnb o Booking per intenderci. E l’obbligo in capo ai proprietari di chiedere al ministero del Turismo un codice unico nazionale da esporre sugli annunci web e sulla porta dell’appartamento. Sono gli strumenti che il dicastero ha messo in campo nel disegno di legge appena proposto con l’intento dichiarato di dare una stretta agli affitti brevi.

“Si tratta solo di propaganda, a dir la verità – commenta il segretario generale del Sunia, il sindacato degli inquilini e degli affittuari di edilizia pubblica Stefano Chiappelli -, un provvedimento commissionato dagli albergatori e dai proprietari di alloggi. Certo non è un intervento che può riequilibrare il rapporto tra affitti turistici e residenziali come noi chiediamo da tempo, che affronta l’emergenza abitativa o che dà una risposta agli studenti in cerca di un alloggio a canoni sostenibili”.

La limitazione ad almeno due notti per la durata minima del contratto di locazione per finalità turistiche nelle città metropolitane non ha alcun effetto nel contrasto alla “gentrificazione” ma neanche per incentivare l’attività alberghiera, considerato che la pena è la nullità del contratto, che non si sa bene come, quando né da chi andrebbe accertata. Le nuove misure ipotizzate nel disegno di legge non piacciono neppure ai sindaci, che in alcuni casi le hanno definite blande e inefficaci.

“Nessuno strumento e nessuna facilitazione viene concessa ai Comuni – affermano i sindacati degli inquilini Sunia, Sicet e Uniat in una nota congiunta -, quantomeno per provare a governare il fenomeno dell’overtourism che tanti disagi sta creando ai residenti, oltre all’aver generato una crescita irresponsabile degli affitti e sottratto tutti gli alloggi alla disponibilità di famiglie e studenti. Questo è in controtendenza rispetto a quanto si sta facendo nelle maggiori città europee”.

Tra i contenuti del disegno di legge, la possibilità di non registrare all’Agenzia delle entrate i contratti inferiori a trenta giorni, di non considerare come attività commerciale quella svolta fino a quattro alloggi di proprietà locati a finalità turistica e quindi la concessione delle agevolazioni fiscali come la cedolare secca anche a quei proprietari che con gli appartamenti su Airbnb fanno un vero e proprio business.

“Noi abbiamo chiesto che non venga considerata attività imprenditoriale quella del privato che ha un solo alloggio e non quattro – conclude Chiappelli -. E abbiamo proposto come avviene in altri Paesi europei, che venga messo un tetto massimo ai mesi in cui un appartamento è locabile nell’arco dell’anno. In definitiva non è questa la strada per impedire l’espulsione delle famiglie dai centri storici e noi continueremo a batterci al tavolo con il Ministero affinché questo disegno di legge non sia un’occasione sprecata”.