A leggere i dati ci si consola. Tutti e tutte sanno cosa sia l’identità digitale e la stragrande maggioranza la utilizza. Certamente non si può ignorare il fatto che l'indagine sulla Transizione digitale condotta dall'Osservatorio Futura è stata realizzata su un campione rappresentativo di 802 persone certamente alfabetizzati digitali, visto che l’unico modo di rispondere al questionario era on line. Detto questo, certamente i risultati sono significativi.

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Degno di nota, dunque, è che ben il 75% degli intervistati usa abitualmente l’identità digitale, Spid o carta di identità elettronica, e come era immaginabile questa percentuale sale al salire del titolo di studio. A questo proposito è bene ricordare che, secondo i dati ufficiali diffusi lo scorso maggio dal ministero della Transizione digitale le Spid attive sono circa 30 milioni e 28 milioni sono le carta d’identità elettroniche consegnate (ma non è detto che vengano utilizzate come identità digitali nei portali on line).

È la seconda risposta del questionario a restituirci, probabilmente, uno spaccato della realtà: nonostante il buon livello di alfabetizzazione digitale dei partecipanti all’indagine, gli intervistati pensano che mediamente gli italiani siano un passo indietro rispetto agli altri paesi europei. Infatti, solo 18% di loro pensa di vivere in un paese al livello degli gli altri. Nonostante questo, ben il 42% del campione ritiene molto determinante il tema della transizione digitale e quasi l’80%  importante.

Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc Cgil, riflette sui dati e dice: “Se dovessimo cimentarci nell'identificare dei lati "positivi" di questi due anni drammatici di crisi sanitaria, potremmo a buon diritto indicare l'irruzione nella vita della stragrande maggioranza delle persone di processi di digitalizzazione di ambiti personali e sociali prima poco conosciuti ai più". 

In questi mesi, continua il sindacalista, "abbiamo imparato a tappe forzate come la socialità, la dimensione economica e lavorativa possano trovare, grazie alle nuove tecnologie legate alla digitalizzazione, nuove modalità e forme. Come tutti i fenomeni 'impetuosi' occorre ora rendere strutturali questi processi, iniziando dal capitale umano. Tutti i rapporti Desi dal 2019 ad oggi segnalano l'Italia in grave ritardo, rispetto agli altri paesi Eu, per le competenze digitali. Un ritardo intimamente legato, a mio avviso, allo sviluppo fortemente disarmonico della infrastruttura tecnologica nel Paese”.

Due sono le preoccupazioni più diffuse tra quanti hanno risposto al questionario. La prima riguarda il tema della sicurezza: ben il 91% è consapevole dei rischi potenziali, ma quasi l’80% fa poco per prevenirlo. Clonazione di carte di credito, truffe e furto dell’identità digitale sono i pericoli più avvertiti da circa il 50% del campione. Il secondo ordine di problemi attiene a quanto la trasformazione tecnologica e la transizione digitale può comportare nel lavoro. Da questo timore arrivano le richieste al sindacato. Il 33% sostiene che le organizzazioni sindacali dovrebbero impedire che la digitalizzazione prevalga sul fattore umano. Ancora un 33% ritiene sarebbe loro compito battersi per evitare che la digitalizzazione possa in qualunque modo compromettere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ben il 32% ritiene che spetterebbe loro avere un ruolo attivo, informando imprenditori e lavoratori sulle opportunità che potrebbero derivare dalla digitalizzazione.

È ancora Saccone a riflettere: “La diffusa percezione di pericolo per la tenuta occupazionale legato all'avanzare della digitalizzazione deriva dal sostanziale immobilismo in molte realtà produttive dinanzi alla rivoluzione tecnologica in corso. Occorre puntellare con decisione e programmazione il processo di digitalizzazione con un vasto programma di aggiornamento delle competenze. Senza ciò sarà inevitabile che ampie fette della popolazione italiana percepiscano, o forse sarebbe meglio dire subiscano, gli effetti negative della digitalizzazione".

Non già come, aggiunge il dirigente della Slc, "fenomeno in sé, ma come frutto dell'immobilismo. La mancanza di una linea di sviluppo omogenea dell'infrastruttura portante della digitalizzazione porta fatalmente ad una crescita disarmonica delle stesse competenze digitali. Del resto, è abbastanza normale che più l'uso di una tecnologia è semplice e accessibile a tutti più questa verrà percepita più facilmente come un'opportunità e non un pericolo. E di conseguenza l'uso che se ne farà sarà più consapevole e meno esposto ai rischi spesso connessi alla scarsa dimestichezza con i nuovi modelli pratici e mentali della digitalizzazione”.

Infine, c’è un dato che assegna al sindacato, alla Cgil, una grande responsabilità: solo il 10% degli intervistati ritiene le organizzazioni dei lavoratori determinanti nel dare una spinta sul tema della digitalizzazione. Per Saccone “la sfida per il movimento sindacale è racchiusa tutta qui: gestire le sfide del cambiamento, governare i processi del reskilling professionale, difendere un modello di sviluppo per il settore delle Tlc, l'asse portante della Transizione Digitale, che sappia mettere al centro l'innovazione e la via alta alla competizione puntando su innovazione, formazione e inclusione". 

"Sfide non banali alle quali nessuno può sottrarsi se non vogliamo che porzioni amplissime della popolazione italiana, spesso quelle già esposte al rischio della marginalità socioeconomica, restino definitivamente ai margini di quello che a pieno titolo è ormai un diritto: ovvero, l'accesso alle reti”, conclude Saccone.