Il 30 aprile del 1982 ci si prepara a festeggiare il Primo Maggio. Alle 9 e 20 del mattino il segretario regionale del Pci siciliano, Pio La Torre, è in auto diretto verso la sede del Partito. Alla guida della Fiat 131 c’è il compagno Rosario Di Salvo. All’improvviso li avvicina una moto. L’auto viene crivellata da raffiche di proiettili. La Torre muore subito. Rosario di Salvo ha il tempo di estrarre la pistola e sparare cinque colpi prima di perdere la vita. Ammazzato dalla mafia, contro la violenza mafiosa Pio La Torre aveva forgiato sin dagli esordi la sua militanza sindacale e politica.

“Nel 1947 - ricordava Emanuele Macaluso in una delle sue ultime interviste - io divenni segretario generale della Cgil Sicilia. La Torre lavorava invece al Partito, a Bisacquino. Qui, durante l’occupazione delle terre, ci fu uno scontro con la polizia. Pio venne arrestato insieme a un gruppo di contadini perché un commissario, testimoniando il falso, sostenne che lui gli aveva un colpo di legno in testa. Per un periodo (…) io feci a Palermo sia il segretario della Camera del lavoro che il segretario regionale. Pio La Torre mi sostituì prima alla guida della Camera del lavoro e poi, nel 1956, quando andai al Pci, alla Segreteria regionale della Cgil”.

“Nel 1967 - proseguiva Macaluso - alle regionali, i comunisti subiscono una flessione: il gruppo dirigente viene messo sotto accusa e La Torre è costretto a dimettersi. Fu sfiduciato dal Comitato regionale perché aveva perso solo due punti. Io e Bufalini andammo anche in Sicilia, ma il Comitato fu irremovibile nel volerlo sostituire. A quel punto Longo mi impose di ritornare a Palermo, dove restai per qualche anno. Pio La Torre fece il segretario della Federazione comunista provinciale e poi andò a Roma. Nel 1969 divenne vice responsabile della commissione agraria del Pci e nel 1972 - anno in cui entrò in Parlamento - passò alla commissione meridionale. Nel 1976 prese infine il mio posto di responsabile della commissione agraria. Fu lui a voler assolutamente tornare in Sicilia perché, a ragione, considerava un’ingiustizia il fatto di aver dovuto abbandonare l’isola. Chiese così a me e a Bufalini di convincere Berlinguer (del quale era diventato uno dei collaboratori più stretti) a lasciarlo andare”.

Nel 1969, quindi, Pio La Torre si trasferisce a Roma per prendere la direzione della Commissione agraria prima, di quella meridionale poi (Enrico Berlinguer, apprezzandone le doti, lo farà entrare nella Segreteria del Partito). Nel 1972 viene eletto deputato alla Camera nel collegio Sicilia occidentale, e da subito in Parlamento si occupa di agricoltura. Diceva: “Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto e i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. Rieletto alla Camera nel 1976, è componente della Commissione Parlamentare Antimafia fino alla conclusione dei suoi lavori.

Nello stesso anno è tra i redattori della relazione di minoranza della Commissione antimafia, che accusava duramente Giovanni Gioia, Vito Ciancimino, Salvo Lima e altri uomini politici di avere rapporti con Cosa Nostra e nel 1980 propone una legge che introduce il reato di associazione di tipo mafioso (alla domanda “Generale, perché fu ucciso il comunista Pio La Torre?”, il 10 agosto 1982, nell’ultima intervista prima della sua uccisione rilasciata al giornalista Giorgio Bocca, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, da poco nominato prefetto di Palermo, rispondeva: “Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge”).

L’anno successivo torna in Sicilia per prendere in mano la direzione del Partito comunista regionale con il “il preciso compito di dare la precedenza su tutto alla lotta contro l’installazione dei missili” a Comiso. Il governo italiano aveva annunciato il 7 agosto del 1981 l’accordo con la Nato per l’installazione degli euromissili nucleari Cruise nella base militare in provincia di Ragusa. Dal Circolo della Stampa di Palermo La Torre lancerà una petizione nell’ambito di un convegno al quale parteciperanno esponenti di ogni orientamento politico, culturale e religioso. L’obiettivo era raccogliere un milione di firme. Il successo della protesta sarà enorme e la raccolta di firme straordinaria. Il 4 aprile 1982 si tiene a Comiso la storica manifestazione pacifista alla quale parteciperanno centinaia di migliaia di persone con la richiesta della sospensione dei lavori per l’installazione delle testate nucleari.

In quell'occasione dirà

Oggi a Comiso decine di migliaia di siciliani e con essi delegazioni provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa si danno appuntamento per una grande manifestazione per la pace e il disarmo e per chiedere che alla Sicilia sia evitato il destino sciagurato di essere trasformata in un avamposto nello scontro atomico tra i due blocchi militari contrapposti. (…) Il nostro no alla installazione a Comiso della base atomica tende ad impedire un avvenire davvero oscuro per il popolo siciliano. Lo dico convinto che questo oggi sia un obiettivo giusto e anche realistico. Il 30 novembre inizieranno a Ginevra le trattative tra Urss e Usa e al primo punto dell’agenda vi è la questione degli euromissili. La conclusione positiva della trattativa - a cui tutti devono lavorare - deve riguardare la fissazione di un equilibrio al più basso livello possibile dei missili contrapposti: gli SS-20 sovietici e i nuovi missili americani nell’Europa occidentale. Questo livello di equilibrio potrebbe essere la “soluzione zero”, cioè la non installazione dei Cruise, bilanciata da misure di pari significato per gli SS-20. Ecco perché è raggiungibile l’obiettivo di impedire la costruzione della base a Comiso. Chiedere, come noi facciamo oggi, di sospendere l’inizio dei lavori della costruzione della base è il modo più giusto ed efficace per il popolo siciliano di premere perché la trattativa di Ginevra abbia uno sbocco positivo. Quello di oggi, è pertanto, il primo atto di una mobilitazione che nei prossimi mesi dovrà via via allargarsi come una grande fiumana di uomini e donne, di giovani e anziani di ogni ceto sociale e di ogni fede pubblica e religiosa. Noi comunisti vogliamo essere soltanto una componente di questo grande movimento unitario e opereremo, con sempre maggiore consapevolezza, perché altre forze democratiche, superando incomprensioni e strumentalizzazioni, scendano in campo per dare il loro contributo originale a questa lotta decisiva per l’avvenire del popolo siciliano e per la salvezza della pace nel mondo.

Nemmeno un mese dopo sarà ucciso.

“Io ero direttore de l’Unità - ricordava ancora Emanuele Macaluso - Stavamo preparando il numero del Primo maggio, giorno in cui il giornale diffondeva 1.000.000 di copie. All’improvviso irrompe nella stanza il caporedattore del giornale (…) il quale mi dice: “Hanno ucciso Pio La Torre”. Immaginate quale fu la mia reazione e la mia emozione. Così seppi della sua uccisione. Il lunedì di Pasqua Pio era venuta a Roma, a casa mia. Mi aveva portato il formaggio fresco di cui ero goloso. Io allora abitavo a via Monferrato, pranzammo insieme e scendemmo dopo pranzo a fare una passeggiata sul Lungotevere. Mentre passeggiavamo lui mi disse: “Dì a Berlinguer che adesso tocca a noi!”. La mafia aveva già ucciso, ed era chiaro che quel ‘noi’ era riferito a se stesso”.