Il blocco degli sfratti è scaduto a fine anno. La Corte Costituzionale è stata chiara: niente proroghe, niente deroghe. Da Nord a Sud dal primo gennaio si può dare seguito a 150mila esecuzioni forzate, sempre che le prefetture accordino l’uso della forza pubblica. Questo vuol dire che 150mila famiglie, anche se non hanno un altro posto dove andare, indipendentemente dalle condizioni nelle quali si trovano, dovranno lasciare casa. Stiamo parlando di 5-600mila persone, un numero pari agli abitanti di una città grande come Genova, che rischiano di finire sotto i ponti se non si trova una soluzione, per tutti e per ognuno di loro.

Una bomba sociale senza precedenti che rischia di esplodere da un momento all’altro, dopo il fermo imposto dalla pandemia, che ha lasciato in sospeso per due anni la macchina giudiziaria. Per fare fronte alla situazione emergenziale le richieste dei sindacati degli inquilini Sunia, Sicet, Uniat e Unione inquilini sono chiare: a livello locale garantire alle famiglie il passaggio da casa a casa, facendo in modo che non si ritrovino per strada nel dare seguito allo sfratto e quindi programmando le esecuzioni sul territorio; a livello nazionale rifinanziare gli unici strumenti disponibili, e cioè il fondo di sostegno all’affitto e quello per la morosità incolpevole con risorse pari a 250 milioni di euro.

“Sono 70mila gli sfratti pendenti dal 2019, 32mila quelli del 2020, ne stimiamo altri 40-50mila per il 2021 – spiega Stefano Chiappelli segretario nazionale del Sunia, il sindacato degli inquilini collegato con la Cgil che insieme a Sicet, Uniat e Unione inquilini ha lanciato l’allarme -. Cifre da capogiro, se si intrecciano a quelle dei licenziamenti che sono ripresi e ai dati della povertà assoluta: 2 milioni di famiglie secondo l’Istat, il 43 per cento delle quali vive in affitto ed è in difficoltà. Altro dato, questa volta della Banca d’Italia: il 45 per cento degli inquilini ha un reddito di 1500-1.600 euro al mese, e per loro l’incidenza del canone è pari al 50-60 per cento. Aggiungici il costo dell’abitare, il condominio e le bollette che come sappiamo sono schizzate in alto, e avrai la ricetta perfetta del disagio”.

Sono mesi che le sigle sindacali degli inquilini lanciano l’allarme e denunciano che il dramma della sofferenza abitativa in Italia è lasciata a una sorta di conflitto tra inquilini e proprietari, senza alcun intervento delle istituzioni, a cominciare dallo Stato e dalle Regioni, che invece hanno il compito di mettere in atto una politica sociale per la casa. A fronte della marea di sfratti che si prospetta, nella legge di Bilancio non è previsto alcuno stanziamento per il contributo all’affitto e per la morosità incolpevole a partire dal 2023, mentre nel Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, manca l’indicazione politica per l’incremento di alloggi popolari, gli unici che potrebbero rispondere alle esigenze delle famiglie che non sono in grado di pagare un alloggio nel mercato libero.

“Mentre l’Europa ci raccomanda di investire nel sociale e nel pubblico per affrontare il problema degli affitti che crescono e dell’insostenibilità dei costi dell’abitare per un numero crescente di famiglie a basso reddito e di giovani, il nostro Pnrr è incompleto su questo fronte – spiega Laura Mariani, area Politiche per lo sviluppo Cgil nazionale -. Alcune misure vanno nella direzione giusta, altre risultano insufficienti, con conseguenze importanti sul sistema del vivere e un’inevitabile accentuazione delle diseguaglianze. I finanziamenti del Next Generation Eu offrono l’opportunità di rendere gli investimenti nell’edilizia popolare e nelle infrastrutture pubbliche parte integrante della strategia di ripresa dalla pandemia. Sosterrebbero la crescita inclusiva, creando occupazione, fornendo alloggi in affitto più convenienti e facilitando l’accesso ai posti di lavoro in tutte le località”.

E dire che nel programma del neo cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha istituto nel suo governo un ministero per le Politiche abitative, c’è un focus specifico sul tema, con obiettivi ambiziosi: recuperare e costruire 400mila alloggi all’anno, di cui 100mila con finanziamenti pubblici, e porre un freno fino al 2029 al prezzo delle locazioni, che non possono superare aumenti dell’11 per cento all’anno. “Se confrontiamo i provvedimenti presi in Germania e quello che non è stato fatto a livello nazionale in Italia, il panorama è desolante – riprende Chiappellli -. Sono anni che chiediamo che le politiche abitative e l’edilizia residenziale entrino nei programmi di governo, nel disinteresse di tutti. Oggi anche le prefetture sono preoccupate per la situazione e per gli imminenti sfratti, che secondo i nostri calcoli dovrebbero scattare in modo massiccio intorno a marzo e aprile, anche perché non siamo usciti dall’emergenza sanitaria. Al costo sempre più alto della casa dobbiamo aggiungere le altre spese, condominio, riscaldamento, luce, acqua, le cui tariffe sono aumentate in maniera esponenziale”.

Per sostenere le famiglie in difficoltà servono risorse quindi. Occorrono per incentivare la proprietà a sospendere gli sfratti o a rinegoziare i contratti, cosi come per mettere a disposizione alloggi e garantire il passaggio da casa a casa.  Il Pnrr è un’occasione sprecata, e anche nella manovra di Bilancio non c’è nulla o quasi.

“Abbiamo sempre lamentato la mancanza di fondi, e adesso che vengono stanziati se non c’è un approccio organico al problema, non si raggiungerà un risultato socialmente significativo – conclude Mariani -. Il Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare, il Pinqua, era un piano già previsto che è stato incrementato con i fondi del Pnrr: 159 proposte di rigenerazione urbana finanziate, ma il monitoraggio non è stato ancora fatto, ma la componente pubblica è residuale. Ci sono 56mila alloggi di edilizia residenziale pubblica non utilizzati, non si sa bene in che stato, poi ci sono quelli occupati, quelli da riqualificare energeticamente. Ecco questi vanno recuperati e assegnati alle famiglie, ma bisogna fare in fretta. Che cosa si sta aspettando?”.