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Nomi, cose, città e Camere del Lavoro

nuovo evento caricato da  il 08-08-2013 9182 SEGGIO ELETTORALE ELEZIONI  INGRESSO



FOTO DI © ANTONIO TISO/SINTESI
Foto: Antonio Tiso/Sintesi
Stefano Milani
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Una sede della Cgil è in tutte le province italiane. Aprire le porte in quei luoghi significa dare una mano concreta a chi ha più bisogno. Una missione che per il sindacato parte da molto lontano

C’era una volta il mestiere più bello del mondo. Un mestiere apprezzato da tutti. Poi venne mezzanotte, la carrozza diventò zucca e il municipio si trasformò nel peggior bar di Caracas. Così oggi è più facile trovare un idraulico di sabato sera che una persona disposta ad indossare la fascia tricolore e amministrare una città, grande o piccola che sia.

Sono lontani i tempi dei Rutelli, Veltroni, Bassolino. Figure mitologiche vissute in epoche remote, fatte di estati romane e notti bianche. Dove la spazzatura e i bilanci in rosso si mimetizzavano tra le pieghe nascoste di una popolarità da percentuali bulgare. Oggi tutto è cambiato. Ci sarà pure lo zampino della pandemia, ma anche prima che il virus dilagasse, per i nostri cari amministratori non era tutto rose e fiori.

Non c’è un unico motivo scatenante per giustificare il testacoda. La cattiva politica, soprattutto nazionale, ha accelerato questo processo di costante erosione di credibilità, e ha spazzato via come uno tsunami quelli che un tempo venivano percepiti come i risolutori dei problemi perché più vicini ai cittadini, sempre pronti a dare risposte ai loro bisogni.

In questo smarrimento collettivo, il territorio può, anzi deve, riacquistare una sua centralità. E la Camera del lavoro, presente in ogni angolo dello Stivale, è il luogo perfetto per ricostruire un tessuto sociale sfilacciato. Un punto di riferimento per il cittadino-lavoratore spossato tra burocrazia, inefficienza e pandemia. Perché è lì che si incontrano i lavoratori, in particolare quelli che vivono le condizioni di maggiore disagio. È lì che si possono aprire vertenze su servizi, casa, trasporti, cultura, tempo libero. Ed è sempre da lì che si guarda al cittadino non solo in rapporto al suo lavoro ma anche alla sua complessiva condizione sociale.

In tre parole: tornare alle origini. E per la Cgil vuol dire guardare all’esempio del suo compagno più amato, Giuseppe Di Vittorio, che negli anni Cinquanta teorizzò e praticò il “sindacalismo del popolo lavoratore”. La Cgil, diceva lo storico segretario, "non si è interessata dei compiti puramente sindacali (l’orario di lavoro, i salari, l’organizzazione della solidarietà da un sindacato all’altro, di tutti i sindacati a un sindacato, ecc.), ma è stata anche qualche cosa di più, un’espressione più viva, più diretta dei bisogni generali del popolo; per cui molto spesso le nostre Camere del Lavoro si sono occupate dei trasporti collettivi cittadini, degli ospedali, dei problemi degli affitti, delle imposte, delle condizioni di igiene in cui vivono i lavoratori in determinati quartieri, cioè di problemi sociali generali".

L'invito, ieri come oggi, è a spalancare le sedi: "In quasi tutto il nostro Paese ogni volta che un lavoratore subisce un affronto, una ingiustizia, un atto di prepotenza da parte di autorità o dei padroni, va alla Camera del Lavoro: essa è vista come l’espressione della giustizia per il popolo”. Ripartire da lì, non c’è altro da aggiungere.

 

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