Roma capitale delle diseguaglianze e della precarietà. È questa la triste fotografia di una città uscita trasformata dalla fase più acuta della pandemia e che si appresta a votare per un nuovo sindaco e un nuovo consiglio comunale. Una città che paga l’immobilismo di una amministrazione entrata in Campidoglio forte di un ampio consenso, ma incapace di trasformare le aspettative di cambiamento in pratica amministrativa nell’interesse dei cittadini.

Negli ultimi cinque anni, l’incapacità di fare scelte – qualcuno dice persino di amministrare – di chi ha occupato lo scranno più alto del Campidoglio, ha allontanato i cittadini dalle istituzioni capitoline, ha ridotto all’osso l’offerta di servizi pubblici, impedendo la reale affermazione dei diritti di cittadinanza. Mobilità, ciclo dei rifiuti, servizi sociali e socio assistenziali, emergenza abitativa, accesso alla cultura e alla conoscenza, crisi del turismo e fuga delle grandi aziende verso il nord Italia (se non all’estero), sono solo gli esempi più plastici della crisi che vive Roma Capitale. La pandemia non ha fatto altro che far precipitare una situazione già fortemente critica. Saranno i cittadini che si recheranno alle urne ad esprimere un giudizio definitivo e compiuto, ma certo è che, a prescindere dalla contesa elettorale, condita di promesse e annunci sensazionali, chiunque uscirà vincitore dalle urne è chiamato ad un compito tutt’altro che semplice, ovvero restituire alla Capitale una sua centralità nelle dinamiche politiche, economiche e sociali del Paese.

Il sindacato, al pari di tante realtà sociali e associative impegnate sul territorio, in questi mesi ha affermato con estrema puntualità da dove ripartire: serve cambiare un modello di sviluppo che ha aumentato le diseguaglianze e ripartire dal lavoro di qualità, quest’ultimo unico antidoto per un contrasto reale alle nuove povertà.

Roma è diventata in questi anni la città dei lavoretti e della precarietà, del lavoro povero nella filiera degli appalti, delle finte partite Iva, del progressivo disinvestimento nel lavoro pubblico e qualificato, di un modello urbanistico non più sostenibile, ma è anche la città che ha visto un forte radicamento delle organizzazioni criminali e mafiose nelle attività economiche e nelle istituzioni. Laddove non arriva più lo Stato, sono arrivati loro, come testimoniato dalla recente sentenza al maxiprocesso istruito dalla procura di Roma che ha riconosciuto l’associazione mafiosa al clan dei Casamonica con condanne pari a circa 400 anni di carcere per i suoi associati. Questo radicamento è stato sicuramente favorito dall’impoverimento di larghe fasce della popolazione: negli ultimi vent’anni i lavoratori e le lavoratrici romane hanno perso tra il 20 e il 27% del loro potere di acquisto, con un aumento vertiginoso dell’utilizzo del part time involontario (stimato al 68% sul totale dei rapporti di lavoro a tempo parziale) e con un aumento del 18% dei contratti atipici e precari. I dati assoluti dicono che sono aumentati gli occupati e il numero delle imprese, ma poi se si entra nel merito si scopre che il 50% dei nuovi rapporti di lavoro sono precari e non durano più di un mese, e che complessivamente le ore lavorate sono notevolmente diminuite. Cosi come gli investimenti pubblici, passati da 1.5 miliardi nel 2005 ai 291 milioni nel 2019, con una riduzione dell’84%.

Questi dati non fanno altro che testimoniare la necessità di un cambio di passo che non può riguardare solo Roma Capitale e la sua amministrazione, ma rappresenta una vera e propria questione di rilevanza nazionale, alla stregua delle altre grandi capitali europee. In questi mesi il sindacato ha individuato le sue priorità, proponendo ai candidati sindaco un confronto basato su proposte concrete e non solo legato alla politica degli annunci, magari funzionali a qualche consenso elettorale. Serve ripartire dalla centralità del lavoro e delle tante realtà sociali – sindacato incluso – che in questi anni hanno svolto uno straordinario ruolo di tenuta e di contrasto alle diseguaglianze.

C’è una Capitale da ricostruire, una nuova visione della Città e del mondo basata sulla sostenibilità sociale ed ambientale da mettere al centro di un nuovo modello di sviluppo. E ci sono i finanziamenti del Pnrr, che dopo anni di progressivo disinvestimento, potrebbero dare forza a proposte utili a trasformare la Capitale delle diseguaglianze nella Capitale delle nuove opportunità, la Capitale del lavoro povero e della precarietà nella Capitale del lavoro dignitoso e della giustizia sociale. Un compito non facile, ma non più rinviabile.

Roberto Iovino, segretario Cgil Roma e Lazio