Guglielmo Epifani appartiene a una storia di dirigenti della sinistra italiana che camminava su due scarpe, quella del partito e quella del sindacato. Non importa se fosse la destra o la sinistra, all’epoca contava il marchio di fabbrica. Ma quello che ha fatto di lui un grande sindacalista è stata la rettitudine del suo cammino. Le sue scarpe non si sono mai divaricate, com’è accaduto a tanti. La spiegazione è quasi banale. Guglielmo Epifani aveva una bussola nella sua testa con la quale sceglieva la rotta del suo cammino. E gli aghi magnetici puntavano sempre in una direzione: il lavoro e i diritti.

La prima volta che conobbi Guglielmo fu alla Fondazione Brodolini nel lontano 1976. Lui era direttore della casa editrice della Cgil e io ero un giovane ricercatore di sociologia industriale. Piero Boni, che all’epoca era segretario generale aggiunto della Cgil, chiamò prima lui e poi il sottoscritto a occuparsi di un settore piuttosto marginale nella vita del sindacato di allora: la cultura e l’editoria.

Riannodando i fili della memoria in questi giorni tristi per la sua prematura scomparsa ho ritrovato in quei primi anni del suo e del mio impegno nella Cgil il senso del suo progetto sindacale futuro. Piero Boni lo chiamò in Cgil con un preciso obiettivo: divulgare la cultura del lavoro e dei diritti. Sotto la direzione di Guglielmo Epifani la casa editrice della Cgil (Esi, poi divenuta Ediesse) fece un grande passo avanti. Da stamperia degli atti congressuali della Confederazione, l’Editrice sindacale italiana cominciò a guadagnarsi un ruolo culturale con la pubblicazione di tre opere: gli scritti e discorsi di Giuseppe Di Vittorio (in tre volumi), di Bruno Buozzi (a cura proprio di Guglielmo Epifani) e di Achille Grandi (a cura di Walter Tobagi).

Erano i tre grandi leader della Cgil unitaria che si erano fatti le ossa nella Resistenza e che rappresentavano le tre anime politiche del sindacato rinascente nell’Italia democratica e antifascista. Le strade di questi tre dirigenti in seguito si divisero: Buozzi purtroppo fu assassinato dai nazisti il giorno che fu firmato il Patto di Roma (4 giugno 1944). Però nelle idee dei tre grandi sindacalisti c’era un seme comune che, al di là delle differenze politiche, emergeva sempre nei loro discorsi: il valore dell’unità di classe che si esprimeva (e si esprime tuttora) nella cultura della confederalità sindacale (si può essere tipografi, metalmeccanici, braccianti; ma a unire tutti è il fatto di essere lavoratori rappresentati da un solo sindacato).

Il giorno che Guglielmo Epifani fu eletto segretario generale della Cgil Piero Boni mi rivelò il suo pensiero. “Vedi – mi disse – Guglielmo non è un fiore di campo, ma un bellissimo fiore di serra”. Aveva ragione: la sua serra era proprio il sindacato che, oltre alle sue indubbie doti di contrattualista, seppe arricchire con il valore della cultura del lavoro e dei diritti.