Ci siamo conosciuti, Guglielmo e io, nel direttivo della Cgil. In quegli anni lui, io e Angelo Airoldi eravamo i giovani segretari delle categorie industriali. Del tutto casualmente avevamo non soltanto rapporti di simpatia reciproca, ma anche opinioni politiche convergenti, sia per quanto riguardava l’attività sindacale sia per il ruolo e l’uso della politica nella società italiana.

Questo ci portava a una frequentazione intensa, che poi è durata anche nel periodo successivo perché, seppure con modalità e tempi diversi, arrivammo tutti e tre nella segreteria confederale. Guglielmo, poi, divenne rapidamente il vice di Bruno Trentin quando Ottaviano Del Turco lasciò la Cgil per il suo partito. Me lo sono trovato, dunque, come vice segretario e, poi, quando ho sostituito Bruno, divenne il mio vice segretario.

Avevamo un rapporto molto stretto, fatto di amicizia prima ancora che politico-sindacale. Certo, avere spesso lo stesso punto di vista politico aiutava moltissimo nello svolgimento della nostra funzione, del nostro lavoro. Erano periodi molto delicati, molto complicati: c’era una fortissima crisi economica e politica che colpiva l’Italia e che portò anche il sindacato a fare scelte coraggiose ma anche molto difficili, come gli accordi del 1992 e del 1993.

Quello con Giuliano Amato del 1992 era la somma di molti sacrifici, seppure modulati diversamente. Quello successivo, con Carlo Azeglio Ciampi, introdusse la metodologia della concertazione e cambiò le regole del confronto tra il governo e le grandi rappresentanze sociali, e cambiò anche molte regole contrattuali. La discussione dei rinnovi contrattuali prima che questi scadessero, ridusse drasticamente il conflitto, portando un vantaggio ai lavoratori ma anche al sistema produttivo e alle imprese. Tutte queste cose le costruimmo insieme.

Guglielmo era una persona molto educata, con un carattere bello e attento. Era rispettoso delle opinioni degli altri, senza per questo rinunciare alle proprie, che però esprimeva sempre con argomenti e mai con alcuna forma di imposizione, men che meno con forme aspre che andavano - ahimè - di moda in altri luoghi nello stesso periodo. E poi, quando me ne sono andato dalla Cgil mi parve del tutto normale passare le consegne a Guglielmo.

C'era stata una richiesta di Walter Veltroni a Epifani perché andasse nel Partito Democratico a occuparsi di organizzazione. Ma la fretta di Walter non era compatibile con le regole e le esigenze della Cgil che Guglielmo per primo intendeva rispettare: rimase così nell’organizzazione e divenne, per scelta naturale, segretario generale della Cgil. Fu il primo segretario socialista, proseguì sulla strada che insieme avevamo tracciato fino a quando anche lui, arrivato al completamento del proprio percorso, passò la mano alla prima donna segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso.

Andò così a lavorare per il suo partito, del quale divenne, dopo poco, segretario. Fu un periodo non lungo, ma molto intenso. Era un partito in grande difficoltà, e la sua capacità di mediazione e di gestione senza conflitti lo aiutò a uscire dalle secche nel quale era finito. Il suo modo di agire, il suo comportamento e il suo carattere furono da supporto e d’aiuto al merito e poi – come sempre – divenne risolutivo.

Ora Guglielmo se ne è andato, con il dolore di tutti noi, lasciando le tracce di una ferita in chi gli ha voluto bene, e di ricordo anche in chi lo osservava dall’esterno. Non è un caso che i commenti, anche dei suoi avversari politici, siano in queste ore molto rispettosi. Questa è una cosa davvero bella: dovrebbe essere sempre così, il rispetto dovrebbe essere garantito e praticato anche da persone lontane e diverse tra di loro.

Ci mancherà perché le sue capacità, il suo carattere, il suo modo di intendere e di vivere il sindacato prima, il partito dopo, in una fase come questa di grande difficoltà, non solo per la pandemia ma per gli effetti che ha generato sulla società e sulle varie forme di rappresentanza, sarebbero state di grandissima utilità. Dovremmo far riferimento a lui, alle cose che ci ha lasciato, al modo come si comportava, perché rimanga nella prassi comune e non sia semplicemente il modo di comportarsi di Guglielmo Epifani, ma diventi sempre di più il modo di comportarsi di quanti hanno responsabilità sia nei sindacati sia nei partiti politici.