L’uragano della  pandemia si è abbattuto anche sulla  scuola, gettando una luce più diretta sui tanti problemi di cui essa soffre e di cui finora sembravano accorgersi solo gli addetti ai lavori: edifici scolastici inadeguati e privi di manutenzione da decenni; arredi e laboratori obsoleti; aule inadeguate all’aumento del numero di alunni per classe, dovuto ai tagli operati sulla  scuola  per ottenere risparmi immediati con il pretesto di una presunta razionalizzazione della spesa; carenza di personale stabile; eliminazione del servizio di medicina scolastica; istituzioni scolastiche ipertrofiche  rispetto ai parametri del dimensionamento ottimale che aveva fissato a 900 il numero massimo di alunni di ciascuna scuola.

A tutto questo si è aggiunta, nel lungo periodo di lockdown dello scorso anno, la difficoltà  delle scuole e dei dirigenti scolastici a gestire l’applicazione della didattica a distanza (una pratica  antitetica alle dinamiche necessarie alla crescita individuale e sociale che solo l’interazione diretta tra alunni e docenti può attivare)  rivelatasi uno strumento discriminante che non garantisce livelli di partecipazione uguali per tutti, a causa della diffusione ineguale delle infrastrutture tecnologiche in ogni parte del Paese e del numero troppo alto di alunni privi delle apparecchiature informatiche necessarie.

La chiusura dell’anno scolastico non è stata meno complessa: normativa ad hoc per scrutini ed esami, elaborazione dei piani di integrazione delle programmazioni didattiche da completare nell’anno successivo e dei piani di  apprendimento individualizzato per il recupero degli obiettivi non acquisiti. Tra mille difficoltà e in presenza di una situazione di timido  miglioramento dei dati della pandemia, i dirigenti scolastici hanno gestito anche questa fase molto complessa, per assicurare l’attuazione di tutte le misure che hanno salvaguardato la validità di un anno scolastico anomalo che  passerà alla storia. 

Poi, durante l’estate scorsa, gli stessi dirigenti hanno coordinato le attività necessarie  per garantire la piena ripresa dell’attività in presenza a settembre, il restyling di locali e arredi,  il distanziamento  dei banchi monoposto, l’acquisto  di mascherine, la predisposizione dell’aula Covid, il  protocollo di pulizia e sanificazione dei locali, la nomina del referente Covid che avrebbe dialogato con l’apposto dipartimento di prevenzione istituito presso le Asp per l’efficace gestione  dei casi di positività tra personale e alunni. Come se l’anno scolastico che stava per cominciare dovesse essere un anno normale, nel quale lasciarsi alle spalle per sempre  il bollettino quotidiano dei morti  delle ore 18, il lungo lockdown, le aule vuote, la paura.

La realtà con cui la scuola si è confrontata in questi lunghi e difficilissimi mesi  è stata ben diversa dalle aspettative: i rigorosi protocolli anti-contagio, faticosamente elaborati e attivati  dalle scuole, sono spesso saltati per il ritardo nella consegna dei banchi monoposto, per i lavori di adeguamento richiesti e mai realizzati, per  le cattedre rimaste scoperte fino a gennaio. Per non parlare della difficoltà a reperire i supplenti. 

In più, all’esterno, c’era una realtà fatta di assembramenti incontrollati, mezzi di trasporto stracolmi, interlocuzioni spesso difficili con le Asl, tracciamenti saltati alla prima impennata dei contagi.  Dopo appena un mese dall’inizio delle lezioni, la certezza di poter assicurare l’intero anno scolastico in presenza ha cominciato a vacillare,  le attività didattiche del secondo ciclo sono state rimodulate e alternate alla didattica a distanza, gli orari di ingresso slittati, l’Italia divisa in fasce di rischio. 

Con la seconda e terza ondata della pandemia la scuola ha pagato un prezzo ancora più alto di quello dello scorso anno, subendo lo scontro di poteri tra centro e periferia e vedendo sacrificata l’autonomia scolastica alle scelte spesso contraddittorie di amministratori locali e presidenti regionali .

Mentre si avvicina nuovamente la fine dell’anno scolastico e già si pensa alla ripartenza di settembre, con l’enorme carico del learning lost cognitivo e socio-emozionale che peserà su un’intera generazione, è necessario che l’esperienza della pandemia diventi l’occasione per riparare alle conseguenze dei tagli che si sono abbattuti negli ultimi dieci anni sulla scuola e utilizzare le risorse ingenti del Pnrr, che il Governo sta predisponendo, per investire finalmente sulle dimensioni delle scuole, sull’estensione del tempo scuola, su un piano nazionale di rinnovamento dell’edilizia scolastica, sulla valorizzazione e stabilizzazione del  personale e sulla sua retribuzione, sull’innovazione didattica. 

Nel marzo del 2018 la Flc Cgil, in una situazione certo molto diversa da quella attuale, ha illustrato nel convegno nazionale  La scuola che verrà le proposte per consegnare alle nuove generazioni una scuola di qualità, indicando i settori in cui era necessario investire per restituire all’istruzione il ruolo di leva strategica per il futuro del Paese. 

La pandemia non ha cambiato quelle priorità, le ha rese solo ancora più urgenti, assicurando le risorse necessarie per realizzarle. Occorre ora, con il contributo di tutti,  dare finalmente alla scuola pubblica statale l’attenzione e le risorse indispensabili per mettere mano al complesso lavoro che nei prossimi anni dovrà renderla migliore. E non mancheranno nemmeno in questo momento l’impegno e il contributo dei dirigenti scolastici che della passione per il loro lavoro e per la scuola hanno dato prova anche nei difficili mesi che speriamo di lasciarci presto alle spalle. 

Roberta Fanfarillo è la responsabile nazionale dirigenti scolastici della Flc Cgil