Il 15 aprile 1919, a Milano esponenti nazionalisti, arditi e fascisti danno alle fiamme la redazione de l’Avanti!. La sede viene devastata, vengono distrutti i macchinari e i locali incendiati, alcuni cimeli frutto del saccheggio sono portati in dono a Mussolini presso la sede de Il Popolo d’Italia. “Il proletariato italiano insorge a difesa del suo vessillo che sventola sempre in alto”, titola due giorni dopo l’edizione torinese del giornale.

“Sappiamo che la lotta è senza quartiere - recita sotto il titolo 'Viva l'Avanti!' l’articolo di fondo - abbiamo coscienza che in questa lotta noi rappresentiamo, col nostro glorioso Avanti!, la bandiera più fulgida di una delle parti; (...).  Ma l’Avanti! non può essere spento, perché rappresenta il socialismo stesso. Non si stronca una idea, come si spezza con il martello la macchina che la distribuisce alle centinaia di mille lavoratori nelle officine e nei campi. E poiché è viva l’idea, si ricompone anche la macchina. Avanti!. Avanti!, dunque. A l’Avanti! si lavora attivamente perché dalle sue ceneri e dai suoi carboni la nostra bandiera torni a sventolare più in alto. C’è la febbre della ripresa, pronta e decisa. C’è la volontà ardente di rispondere a tante manifestazioni di affetto con la tangibile dimostrazione che il barabbismo non può riuscire a spegnere la voce degli interessi del proletariato”.

Intervistato pochi giorni dopo da Il Giornale d’Italia, Mussolini attribuirà l’iniziativa agli arditi e ai futuristi, assumendone comunque a nome dei fascisti la responsabilità morale: “Tutto quello che avvenne all’Avanti! fu spontaneo, movimento di folla, movimento di combattenti e di popolo stufi del ricatto leninista. Si era fatta un’atmosfera irrespirabile. Milano vuol lavorare. Vuole vivere. La ripresa formidabile dell’attività economica era aduggiata da questo stato d’animo di aspettazione e di paura specialmente visibile in quella parte di borghesia che passa i pomeriggi ai caffè invece che alle officine. Tutto ciò doveva finire. Doveva scoppiare. È stato uno scoppio climaterico, temporalesco. A furia di soffiare l’uragano si è scatenato. Il primo episodio della guerra civile ci è stato. Doveva esserci in questa città dalle fiere impetuosissime passioni. Noi dei fasci non abbiamo preparato l’attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la responsabilità morale dell’episodio”.

Il giornale lancerà una sottoscrizione pubblica “perché l’Avanti! risorga più grande, più forte, più rosso” e meno di tre settimane dopo tornerà a essere pubblicato con mezzi improvvisati. La costruzione della nuova sede inizierà il 1º maggio 1920.

“Oggi - riporta il quotidiano - sarà posata la prima pietra della nuova casa dell’Avanti!: costruzione la cui storia rimarrà memorabile, come quella della prima basilica o dei primi palazzi municipali del trecento. È il nostro pensiero vittorioso che si afferma in una salda armonia di pietre. I proletari che sanno e ricordano come i mattoni del sorgente edificio siano usciti dalla fornace del 15 aprile, da un fuoco che doveva distruggere il nostro essere e che invece ne provò la tenacia, come il crogiolo dimostra la bontà del metallo, considerano giustamente questo primo maggio come il più augurale e forse il più lieto della storia nostra. Oggi si canterà e si berrà”.

A Milano il giornale verrà assalito e incendiato più volte tra il 1919 e il 1922, ma ogni volta risorgerà dalle ceneri. Continuerà ad esistere e a resistere fino a che, per le leggi eccezionali del fascismo, nell’ottobre 1926 chiuderà (nel 1923 l’Avanti! fu sequestrato sessantadue volte!). Costretto a sospendere le pubblicazioni in Italia, continuerà ad essere pubblicato clandestinamente ed in esilio su impulso di Pietro Nenni fino al 26 aprile 1945 quando la prima libera edizione del quotidiano titolerà trionfalmente "Milano è insorta". Il giorno successivo, mentre nell’Italia settentrionale va completando la liberazione dei territori dall’occupazione tedesca, appare sul giornale un articolo a firma di Pietro Nenni il cui titolo diventerà famoso: Vento del Nord.

“Quando parlammo per la prima volta del vento del Nord - scriveva Nenni - i pavidi, che si trovano sempre al di qua del loro tempo, alzarono la testa un poco sgomenti. Che voleva dire? Era un annuncio di guerra civile? Era un incitamento per una notte di San Bartolomeo? Era un appello al bolscevismo? Era semplicemente un atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazifascista, dovevano essere all’avanguardia nella riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica sia stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro ed alla loro disciplina rivoluzionaria. Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l’Italia in una posizione di avanguardia. Nelle ultime 48 ore le notizie dell’insurrezione e quelle della guerra si sono succedute con un ritmo vertiginoso. La guerra da Mantova dilagava verso Brescia e Verona, raggiunte e superate nel pomeriggio di ieri. L’insurrezione guadagnava Milano e da Torino si propagava a Genova. Nell’ora in cui scriviamo tutta l’Alta Italia al di qua dell’Adige, è insorta dietro la guida dei partigiani. A Milano a Torino a Genova i Comitati di Liberazione hanno assunto il potere imponendo la resa dei tedeschi e incalzando le brigate nere fasciste in vittoriosi combattimenti di strada (…)”.

Le insurrezioni partigiane pongono fine alcuni giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate all’occupazione nazifascista di Milano e Torino, liberate dopo Bologna e prima di Venezia. Entro il 1º Maggio, tutta l’Italia settentrionale sarà libera: è la fine della dittatura mussoliniana, della Seconda guerra mondiale, della guerra civile.

Dirà esattamente otto mesi dopo Palmiro Togliatti al quinto Congresso nazionale del Pci (29 dicembre 1945): “Compagni, se guardiamo al cammino che in questi anni abbiamo percorso possiamo concludere che abbiamo adempiuto con onore il compito che ci eravamo prefissi e che era di servire la causa della classe operaia, del popolo e della nazione italiana; abbiamo adempiuto il compito di lottare per la distruzione del fascismo, per la restaurazione delle libertà democratiche, per il rinnovamento dell’Italia. (…) In questa lotta non siamo stati soli, né pretendiamo nessun merito esclusivo. Abbiamo avuto accanto a noi operai e lavoratori socialisti, lavoratori e intellettuali del Partito d’azione, del partito democratico cristiano e di altre correnti democratiche e liberali a cui mandiamo il saluto fraterno dei combattenti. Nella lotta per la liberazione del nostro paese si è creata tra il nostro partito e queste altre tendenze democratiche una unità di propositi e di azione che è stata tra le cause principali della nostra vittoria. Questa unità non si deve oggi spezzare, anzi deve durare e consolidarsi, deve diventare una delle fondamenta della nuova Italia che insieme vogliamo costruire”.