Angela Caponnetto è un’inviata di Rainews, da anni lavora sul fronte caldissimo dell’immigrazione e degli sbarchi. Ha seguito a ritroso la rotta dei migranti fino in Africa e si è molto impegnata a smascherare le fake news che circolano sul tema dei migranti. Nell’estate del 2020, diversi giornali di destra propalano la storia che a Lampedusa i migranti rapiscono e mangiano i cani: una vicenda che Caponnetto ha dimostrato, prove alla mano, essere del tutto inventata e che le ha procurato molti attacchi dagli haters. Per le minacce ricevute in questi anni sui social network è stata anche ascoltata dalla Commissione parlamentare antimafia che ha aperto un fascicolo sui giornalisti minacciati nel nostro Paese.

Puoi fissare un inizio, un momento in cui sui social hanno cominciato a bersagliarti?

Quando mi sono imbarcata sulle navi umanitarie, parliamo del 2017. Prima ero inviata a bordo delle navi militari. Poi la Marina militare ha smesso di fare ricerca e soccorso e quindi per andare a vedere e documentare cosa stava succedendo nel Mediterraneo centrale bisognava per forza salire sulle navi umanitarie. Gli attacchi più violenti cominciano quando faccio due viaggi sull’Aquarius di Sos Mediterranee, nel dicembre 2017. Mi sono ritrovata con la mia faccia che girava su Facebook insieme a quella di Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, e di Laura Boldrini, con scritto sopra 'Traditrice della Patria'. Mi ha colpito perché io stavo facendo solo il mio lavoro, non ero né una politica né un’attivista. È stata la prima avvisaglia alla quale non ho dato una grande importanza. Dietro quei messaggi c’erano profili di neonazisti, con svastiche, croci celtiche. Ho bloccato quei profili e sono andata avanti.

Poi ho continuato a lavorare sempre più intensamente sul tema dell’immigrazione e gli attacchi sono diventati quasi quotidiani, sempre più violenti, sempre più legati al fatto che io ero una giornalista donna che si occupava di immigrati. La mia foto veniva messa in sovraimpressione a uno stuolo di uomini di colore, con commenti molto volgari che si possono immaginare, sulle mie performance sessuali. Quindi sono arrivate le minacce di morte, sono arrivati a scrivermi che dovevo morire come Ilaria Alpi, oppure «Altro che inviata di Rainews devi bruciare all’inferno». Quello che mi faceva male era che mettessero in dubbio la mia professionalità: il fatto che una donna facesse l’inviata per il servizio pubblico implicava per forza che quella donna dovesse aver dato qualcosa del suo corpo. Un’altra cosa che mi colpiva era il comportamento diverso con colleghi che si occupano degli stessi temi. Non che non fossero attaccati duramente, ma non come persone, per il loro sesso. Alcuni di loro riuscivano ad avere persino un dialogo con gli hater. Io no, mi dovevo sempre beccare l’insulto sessista. E fa male, almeno a me.

Hai avuto la sensazione che gli attacchi nei tuoi confronti avessero una regia?

All’inizio pensavo fosse il singolo matto. Quando ho visto che erano seriali e in aumento esponenziale ho capito che erano organizzati, puntuali.

Come ti sei difesa?

A un certo punto non reagivo più, la lotta era impari.  L’unico modo che mi ha fatto sentire più sicura è stato fare squadra, avere un gruppo di persone con cui lottare insieme. Si è creata da un paio d’anni una scorta mediatica sui social, una rete di attivisti impegnati sul contrasto all’hate speech che si sono aperti dei profili ad hoc per rispondere agli insulti nei miei confronti, mi difendono e replicano punto su punto. Riescono anche a scoprire chi c’è dietro questi attacchi seriali, nel mio caso per lo più di matrice di estrema destra. Intervengono, carte alla mano smascherano le bugie che quel dato profilo ha già diffuso in passato.

Ti è capitato che qualcuno per difendere te utilizzasse un linguaggio violento?

Sì, e non mi è piaciuto per niente, ho cancellato quei commenti perché è proprio quel linguaggio che è sbagliato, da qualunque parte venga. Ho anche solidarizzato con una collega che era stata pesantemente insultata “da sinistra”.

Qualcuno potrebbe minimizzare e dire “che t’importa, tanto è solo virtuale”.

Questi attacchi fanno male non solo perché minano la tua serenità mentale, ma minano anche il tuo lavoro.  Qual è lo scopo? Quello di farti smettere di raccontare le cose. A me non è mai successo che i miei capi mi abbiano detto di non seguire più un settore, però “per un po’ lascia perdere” sì, magari due settimane, e per me è già una sconfitta. Quando qualcuno sui social mi ha scritto, come minaccia: “Mi è stato riferito che è meglio che ti guardi quando torni sotto casa” è chiaro che poi una si fa due conti e si chiede se ne vale la pena. Ma è dura anche semplicemente lavorare, raccontare quello che succede, sapendo che il giorno dopo è matematico che qualcuno ti attaccherà o manipolerà quello che hai detto.

Ti capita di tornare a casa e guardarti le spalle?

Mio marito da sola non mi lascia più parcheggiare sotto casa di notte. Non so che cosa mi possa succedere, magari il matto che suggestionato dalla sua bolla social di odio decide di darmi una botta in testa perché parlo di migranti. Come faccio a essere tranquilla?

Ci sono delle responsabilità anche in come i politici utilizzano i social e il loro linguaggio?

La foto di me in sovraimpressione sugli uomini neri è stata ritwittata da un senatore della Lega che poi si chiedeva com’è possibile che una giornalista salga su una nave umanitaria. Io mi chiedo come sia possibile che un senatore si faccia una domanda del genere. Tra l’altro voleva fare un’interrogazione parlamentare per sapere com’ero entrata alla Rai. Purtroppo non l’ha fatta perché glielo avrei detto volentieri: 15 anni di precariato e otto di causa. Un altro episodio è stato quando ero a bordo della nave Alex di Mediterranea nel 2019.  Salvini fece un tweet su di me e iniziarono gli attacchi. Io quella volta non mi ero accorta di nulla perché ero a bordo, ma mio marito si è spaventato molto, anche il mio capo. I politici dovrebbero stare molto attenti, perché scatenano l’inferno sui social ogni volta che si manifestano contro qualcuno. Hanno una responsabilità molto grande.

Tu hai denunciato qualcuno degli hater?

Ho denunciato un profilo, con nome e cognome, da cui provenivano continuamente attacchi pesantissimi. Purtroppo la denuncia è stata archiviata, perché i magistrati, soprattutto su Roma, dicono che non hanno tempo e non possono perdere tempo con gli insulti sul web, vengono considerati scaramucce come gli insulti per strada, un peccato veniale. Mi dicono che denunce analoghe in tribunali più piccoli e meno oberati hanno più probabilità di andare avanti. Non ho fatto altre denunce perché i profili che mi attaccavano erano quasi tutti fake, ci vuole la polizia postale, è un lavoro lungo. Ho fatto diverse segnalazioni a Facebook e Twitter e sono riuscita a far chiudere molti profili, che però essendo fake vengono riaperti.  Poi cancello molto su Facebook. Diventa un lavoro, del resto io con i social ci lavoro, per avere contatti e informazioni. Non ci voglio rinunciare, non posso. Perdo ore e ore, la notte, per capire chi c’è dietro quel profilo che mi ha scritto quelle nefandezze, a fare screenshot. Ne ho migliaia archiviati, anche se poi non so cosa farne.

Cosa si dovrebbe fare, secondo te?

Sono molto arrabbiata perché è diventato troppo complicato lavorare se non ci sono strumenti per difendersi, strumenti giuridici. Possiamo fare scorte mediatiche, aiutarci tra di noi, ma se non si arriva a dare delle pene pecuniarie o sanzioni, non ne usciamo. Oggi non si può considerare l’insulto sul web come un peccato veniale, è la vita di tutti i giorni, ci lavoriamo, siamo persone riconosciute e mi batterò come posso per arrivare a un riconoscimento concreto dei reati sul web. Se i magistrati sono troppo impegnati creiamo un pool nazionale, un ufficio apposta che si occupi solo di questo.

Angela Caponnetto, inviata per la redazione Interni di Rainews24, specializzata nel tema delle migrazioni, ha seguito i viaggi dei migranti in diverse missioni militari e umanitarie nel Mediterraneo centrale, in Africa e in Italia. Da queste esperienze è nato il libro "Attraverso i tuoi occhi: cronache dalle migrazioni", edito da Piemme. Con la sua troupe è stata minacciata di morte mentre lavorava a un reportage sull' infiltrazione della 'ndrangheta nella gestione del Cara di Isola Capo Rizzuto: per questa vicenda è stato aperto un procedimento.