Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, deputato e segretario del Psu (Partito socialista unitario, il partito di Filippo Turati e Claudio Treves), viene rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma e ucciso. Benito Mussolini ordina la morte del leader socialista per mettere a tacere le sue denunce di brogli elettorali attuati dalla dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le sue indagini sulla corruzione del governo.

“Voi che oggi avete in mano il potere e la forza - aveva detto il 30 maggio Matteotti alla Camera -, voi che vantate la vostra potenza, dovreste meglio di tutti gli altri essere in grado di far osservare la legge da parte di tutti. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della nazione”. 

Sarà l’ultimo discorso pubblico di “Tempesta”, come veniva chiamato dai compagni di partito per il carattere battagliero. Si racconta che a chi si congratulava con lui per quelle parole pronunciate alla Camera Matteotti avesse risposto sorridendo: “E adesso potete preparare la mia orazione funebre”. Il 13 giugno Filippo Turati darà in Parlamento la notizia della sua scomparsa. 

“Il morto si leva - dirà due settimane più tardi - E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono da uno dei sicari tramandate alle genti, che son Sue quand’anche non le avesse pronunciate, che son vere se anche non fossero realtà, perché sono l'anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa che mureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a monito dei futuri: “Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai... La mia idea non muore…”.

Per protesta contro il rapimento e l’assassinio del deputato socialista, tutta l’opposizione parlamentare si ritira sul cosiddetto Aventino. Il 26 giugno 1924 circa 130 deputati d’opposizione (popolari del Ppi, socialisti del Psu e del Psi, comunisti del Pcd’I, liberaldemocratici dell’Opposizione Costituzionale e del Psdi, repubblicani del Pri e sardi del Psd’Az) si riuniscono nella sala della Lupa di Montecitorio decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della scomparsa di Giacomo Matteotti. Le motivazioni dell’abbandono saranno spiegate da Giovanni Amendola sul Mondo: “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. … Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l’illegalismo, esso è soltanto una burla”.

Seguono mesi di braccio di ferro, in cui il governo fascista sembra sul punto di capitolare, ma il 3 gennaio 1925, con un famoso discorso alla Camera, Mussolini assume in prima persona la responsabilità politica del delitto: “Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”. È l’inizio del Regime.