Il 3 ottobre di sette anni fa si consumava a Lampedusa la grande tragedia dell’immigrazione. Almeno 368 morti, solo 155 le persone salvate, tra cui sei donne e due bambini. “ È una vergogna”, tuonava papa Francesco. “Non ci sono termini abbastanza forti per indicare anche il nostro sentimento di fronte a questa tragedia”, gli faceva eco l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, mentre il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si recava a Lampedusa inginocchiandosi davanti alle piccole bare bianche dei bambini chiedendo loro perdono. “Un tappeto di carne umana”, così l’allora sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, descriveva i 368 corpi di donne, uomini e bambini sulla spiaggia.

“Quella giornata mi ha segnato per sempre”, ricorderà. “La morte è sempre terribile. Anche nei mesi precedenti, anche quando ne moriva solo uno, l’incontro con la morte era già drammatico. Ma la morte di 368 persone è una cosa che ti sconvolge. Il recupero dei corpi è durato giorni, i superstiti del naufragio li abbiamo trattenuti per oltre un mese perché dovevano essere presenti come teste, è stata una lunga fase di dolore, di lutto e di impotenza. Ad oggi il naufragio del 3 ottobre non è ricordato come il più grande, quello di aprile 2015 è stato più tragico, con oltre il doppio dei morti e dispersi, ma la ‘particolarità’ di quell’episodio è stato il fatto di essere avvenuto a poche centinaia di metri dalla costa. È stato possibile recuperare tutti i corpi da mostrare al mondo, con tutte le 368 bare riunite nell’hangar. La strage ha reso materia i morti che fino a quel momento, nelle stragi precedenti, erano stati coperti dal mare. Sembrava che saremmo giunti a cambiamenti epocali dopo quello scempio, a cambiamenti delle politiche, ma dopo l’iniziale mobilitazione, è arrivato il peggio”.

Nel 2016 il Senato proclamava il 3 ottobre Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. “Di tutte le vittime dell’immigrazione - precisava lo scorso anno Save the Children - donne, uomini, bambini, bambine che hanno perso la vita cercando di oltrepassare un confine e che ancora oggi sono vittime di viaggi rischiosi in cerca di una vita migliore. Se la terra fosse sicura nessuno rischierebbe la vita in una traversata disperata, nessun genitore metterebbe in mare un bambino se il luogo da cui proviene non offrisse alcun tipo di speranza futura. Avevano detto: non succederà più. Eppure, ancora oggi, a distanza di sei anni da quel tragico 3 ottobre 2013 migliaia di bambini, donne, e uomini continuano a morire attraversando il Mediterraneo in fuga da guerre, povertà e sofferenze nella speranza di un futuro migliore. Dal 2013 a oggi sono stati oltre 15.000 i morti e dispersi. Un’ecatombe paragonabile a quella di una guerra”.

“La Repubblica - recita il testo della Legge 21 marzo 2016, n. 45, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 76 del 1° aprile 2016, che istituisce la ricorrenza - riconosce il giorno 3 ottobre Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, per ricordare chi ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”. In occasione della Giornata nazionale, stabilisce l’articolo 2, “sono organizzati su tutto il territorio nazionale cerimonie, iniziative e incontri per sensibilizzare l’opinione pubblica alla solidarietà civile, al rispetto della dignità umana e del valore della vita, all’integrazione e all’accoglienza. Sugli stessi temi le istituzioni, nei propri ambiti di competenza, promuovono iniziative nelle scuole, anche in coordinamento con associazioni e organismi di settore”.

“Quando la tragedia si consumò tre anni fa a poche centinaia di metri dall’approdo a Lampedusa - affermava nell’anno della approvazione della legge il presidente Mattarella - l’evento mise il mondo intero di fronte a una grande responsabilità. La portata inedita, e per certi aspetti epocale, delle migrazioni nel Mediterraneo non può certo essere trattata con cecità dalle classi dirigenti e con indifferenza dalle opinioni pubbliche. Al contrario, è necessario mettere in campo tutta l’intelligenza, l’umanità, la capacità organizzativa di cui disponiamo, e insieme a queste è indispensabile coordinare gli sforzi in ambito europeo perché solo nella dimensione continentale si possono affrontare con efficacia i problemi sociali, economici, diplomatici, di sicurezza e di contrasto alle organizzazioni criminali, che il fenomeno migratorio solleva”.

Perché il ricordo da solo non basta, ma non dimenticare può e deve servire a dare un senso alla strage e contribuire a tessere quel percorso di accoglienza e integrazione di cui l’Italia e l’Europa tutta hanno mai come oggi disperatamente bisogno. Scriveva alla vigilia di questa giornata il medico Pietro Bartolo, oggi europarlamentare: “C’era una volta un bambino con una maglietta rossa, che ha attraversato il deserto e il Mediterraneo, che ha raggiunto Lampedusa e da lì ha iniziato la sua nuova vita in giro per il mondo. E io per una sera, una sera soltanto, vorrei davvero il lieto fine. Per una sera soltanto, vorrei spazzare via il dolore sordo che da sette anni accompagna la mia vita e quella di chi c’era, di chi ha visto l’orrore della strage del 3 ottobre 2013, a pochi metri dalla costa di Lampedusa, quando persero la vita 368 persone".