A Bologna cresce la preoccupazione sul caso del focolaio Covid-19 del magazzino della Bartolini, la nota azienda di logistica. Martedì 30 giugno sono circolate voci di una possibile chiusura del centro del corriere espresso per evitare la diffusione del contagio, visti i numeri: i casi di positività individuati dalle autorità sanitarie - tra lavoratori del gruppo e loro familiari o conoscenti - sono 113, di cui 87 asintomatici. In percentuale si tratta di circa la metà del personale che a Bologna è costituito soprattutto di lavoratori immigrati dal Nord Africa e dai paesi dell’Est. Appena circolata la notizia dei primi contagi, il controllo a tappeto è stato pianificato dall'Ausl in collaborazione con la direzione dell'impresa e nello stabilimento è stato coinvolto anche l'ispettorato del lavoro per chiarire ogni aspetto relativo alla sicurezza.

"Siamo in attesa dei risultati dei tamponi eseguiti anche ad amministrativi, autisti e altro personale", spiega Paolo Pandolfi, direttore del dipartimento di Sanità pubblica della Ausl: "Faremo una valutazione del focolaio: se ci sono evidenze epidemiologiche e condizioni specifiche, per come si è manifestato, potrebbe essere una strada da percorrere quella di proporre la sospensione dell'attività”. Si capiranno dunque già oggi (mercoledì 1° luglio) le intenzioni delle autorità sanitarie, ma nel frattempo si cerca di appurare cosa è successo tra i magazzinieri della Bartolini di Bologna e all’'hub di via Mattei, centro di accoglienza per i migranti, dove, come ha spiegato il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, "si sta facendo quello che si fa in casi come questi: sul focolaio di Bartolini è stato fatto un controllo a tappeto, immediato e importante, sulle persone coinvolte, sui familiari, su coloro che avevano incontrato. Aspettiamo i risultati, ma si sta facendo un lavoro all'altezza della sfida che abbiamo preso che è quella di andare laddove si può verificare un possibile focolaio e intervenire immediatamente per isolare il prima possibile i positivi".

Anche tra i dirigenti sindacali c’è molta preoccupazione, perché si tratta di capire se all’origine del focolaio bolognese ci sia stata una mancata (o parziale) applicazione dei protocolli di sicurezza stabiliti a livello nazionale. C’è chi parla di un uso incostante delle mascherine e chi invece mette l’accento sulla “promiscuità” sociale alla quale sono costretti gli immigrati impiegati nel centro di logistica. “I lavoratori assunti nel magazzino, che la Bartolini ha appaltato a un’azienda esterna, vivono in condizioni precarie, magari in sette o otto nello stesso appartamento", dice Massimo Colognese, segretario regionale della Filt Cgil, rilevando come sia fondamentale "ricostruire la mappa del contagio e verificare se esistono le condizioni di sicurezza per lavorare”. Nel magazzino la maggior parte dei lavoratori è iscritta al sindacato autonomo Si Cobas, che finora non si è sbilanciato sulla cause del focolaio, ma avrebbe chiesto un incontro al governatore Bonaccini per chiarire i termini del contagio in atto.

Per la Filt Cgil è necessario prendere in considerazione tutto il contesto per capire cosa è successo veramente e intervenire anche sulle questioni sociali, oltre che su quelle organizzative e lavorative. “Il settore della logistica – illustra ancora Colognese – è stato uno dei pochi a registrare una crescita in questi mesi, insieme al settore alimentare. Le aziende, dunque, avrebbero dovuto investire sulla sicurezza, anche alla luce dei profitti realizzati. Ma a noi non risultano investimenti in questo senso, e vogliamo verificare anche il rispetto completo delle norme di sicurezza nell’organizzazione del lavoro”.

Sulla necessità di avere uno sguardo largo, analizzando quindi tutto il contesto sociale in cui si è sviluppato il contagio bolognese è d’accordo anche il segretario generale della Cgil dell’Emilia Romagna Luigi Giove. “Da quello che abbiamo potuto sapere - spiega l'esponente sindacale - l’azienda smentisce la violazione delle norme di sicurezza nel magazzino. Ma oltre a verificare tutta la filiera degli appalti e subappalti, si devono accertare le condizioni abitative di questi lavoratori che in molti casi vivono in povertà. In generale, quella del Covid-19 si sta rivelando la malattia della povertà, perché è evidente che le possibilità del contagio sono molto più alte in situazioni dove il distanziamento risulta quasi impossibile, come quando di vive in otto dentro lo stesso appartamento”.

Problemi analoghi a quelli che si sono riscontrati alla Bartolini potrebbero quindi esserci anche nei luoghi dove vivono gli immigrati impiegati in agricoltura o in altre strutture della logistica, come quella di Piacenza. Nel frattempo cresce la richiesta di uno svuotamento del centro di accoglienza migranti di Bologna. Lo chiedono Cgil, Cisl e Uil, la sinistra cittadina, le associazioni e gli avvocati che difendono i migranti. Si comincia a interrogare sulla possibilità anche il Comune di Bologna, che alla Prefettura domanda soluzioni per evitare l'esplosione di un nuovo focolaio di Coronavirus. II perché della richiesta di svuotamento di un centro dove da mesi sono parcheggiate 200 persone lo hanno reso evidente i tracciatori dell'Ausl, che da giorni si stanno occupando di monitorare e contenere il Covid-19 dopo la sua diffusione nei magazzini della Bartolini. La richiesta è quella di smistare tutti gli ospiti in strutture molto più piccole, ma che permettano migliore accoglienza e maggiore distanziamento. "Si tratta di persone che spesso lavorano nei magazzini della logistica, alcuni sono richiedenti asilo con contratti a chiamata da uno o due giorni", spiega l'avvocata dell'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione Nazzarena Zorzella. Insomma, si tratta di fare presto per evitare situazioni di pericolo sanitario e di tensione sociale che rischia di esplodere anche in Emilia Romagna, come sta succedendo a Mondragone.

Un foglio con la scritta “untore” a pennarello. L'ha trovata sul furgone che usa per le consegne un corriere della Bartolini. A segnalare il fatto è Cathy La Torre, avvocato e attivista bolognese. "Il lavoratore - scrive su Facebook - ha chiesto di restare anonimo per paura di eventuali ritorsioni. E già questo dimostra che ci muoviamo in una vicenda dai contorni poco chiari. Secondo le denunce di tutti i sindacati, il settore della logistica riserva ai lavoratori condizioni di lavoro pessime, tra contratti pirata, straordinari non pagati, turni massacranti, precarietà e dunque ricattabilità diffusa. Mi duole che nella mia Bologna qualcuno colpevolizzi chi è vittima di un mercato del lavoro che spinge a ignorare pure le più banali precauzioni per fingere che tutto sia già tornato come prima”.