Da Belluno a Taranto il passo è breve. Non sembrerebbe, eppure la crisi industriale che travolge ormai da tempo il nostro Paese, con tutti i distinguo del caso, continua a generare storie che si assomigliano. Sono quelle che vi raccontiamo in questi video di realtà diverse e con sviluppi diversi, ma un tratto comune: la perdita di valore del lavoro, della competenza, della tradizione di un territorio e la lotta dei lavoratori per sopravvivere e difendere la propria dignità e il proprio posto. Il finale non è ancora scritto. Per nessuna di queste due storie.

Un passo avanti a Belluno sono riusciti a farlo, dopo due anni di battaglie sindacali contro il gruppo cinese che aveva preso la Wanbao e poi iniziato a licenziare, dritto verso la chiusura di una realtà cruciale per l’occupazione di quelle terre. Un insperato commissariamento ha dato vita a 18 riassunzioni, proprio tra quanti erano stati licenziati. E adesso si intravede uno spiraglio di futuro. Quello precluso da tempo agli operai della ex Cementir di Taranto, inghiottita dalla faglia aperta dal terremoto della grande Ilva. I dipendenti di questa piccola Ilva del cemento, affogati in un presente di frustrazione e assistenzialismo che sembra non finire mai, affidano la loro disperazione alla telecamera per lanciare un grido di aiuto e un monito ai 10 mila colleghi del siderurgico: se non sono ancora riusciti a restituire il lavoro a noi che siamo appena 60, chissà cosa accadrà a tutti gli altri.

Storie di una desertificazione industriale contagiata dalla pandemia in cui sempre più spesso multinazionali senza tanti scrupoli vengono, vedono e vincono. Vittorie sporche, che lasciano sul campo le vittime di questa guerra: posti di lavoro, sviluppo e reddito. Ma non spengono la speranza e la voglia di restare uniti e combattere per i propri diritti. Storie nelle quali è sempre più difficile distinguere i sommersi dai salvati. Per tutti, con il livello della crisi che sale velocemente, la battaglia sempre più spesso è restare a galla.