“Sono qui in Italia, a Milano, da vent’anni. E di anni ne ho trenta. Non mi era mai capitata una cosa del genere”. Junver non ci crede ancora che il naso glielo hanno spaccato perché è di origini filippine. Lui che aveva appena perso l’autobus per tornare a casa dopo il turno di notte a McDonald è stato prima insultato e poi pestato. “Stavo aspettando l’autobus e c’era un ragazzo con i suoi amici che continuava a ripetere ‘filippini di merda’, al che gli ho detto: ‘scusami, abbi un po’ di rispetto’, lui invece non ha smesso. Si è avvicinato con prepotenza e rabbia e mi ha detto ‘fatti i cazzi tuoi’, poi all’improvviso mi ha dato una testata sul naso”. Setto nasale fratturato e una prognosi di quindici giorni.

Ha ancora paura Junver mentre racconta quello che è accaduto la notte tra venerdì e sabato perché il pestaggio non si è fermato con quella testata e il naso rotto: “Dopo che quel tipo mi ha aggredito è arrivato un autobus con altri amici suoi. A quel punto ho temuto il peggio. E infatti avevo il cellulare in mano ma uno di quei ragazzi, appena sceso, mi ha afferrato al collo e mi ha minacciato: ‘se chiami la polizia è finita’. Così non l’ho fatto”.

La camicia imbrattata di sangue, la gente che nonostante l’ora assiste ma non dice nulla. Junver sale sullo stesso autobus dei suoi aggressori. Gli dicono di chiudersi la giacca e di coprire le macchie. Loro intanto continuano a fare casino. Un tragitto lunghissimo con la testa che ronza di dolore e preoccupazione e il desiderio di mettersi al sicuro. Anche chi è sull’autobus e vorrebbe avvicinarsi non lo fa. Nessuno chiama i soccorsi. Alla fine, Junver scende alla sua fermata e si assicura che i suoi aguzzini non abbiano fatto altrettanto: a casa ha una moglie e un figlio di quattro anni che lo aspettano. Teme che qualcuno si azzardi a seguirlo fino là. “Per fortuna non ho perso i sensi. Quando mia moglie mi ha visto si è spaventata. Mio figlio dormiva ancora. Era quasi l’alba ormai ma quando si è svegliato mi ha fatto tante domande. Voleva sapere. Voleva che andassi subito dal dottore”.

Intanto, però, Junver fa una telefonata. La prima che gli viene in mente. Lui è un delegato sindacale: chiama il sindacato. Dall’altro capo del telefono risponde Isa Tonoli, della Filcams Cgil di Milano. “È la prima persona che ho pensato potesse aiutarmi” e che si trova a gestire una richiesta diversa dalle solite: non si parla di paghe, ferie, orari o malattie. Qui si parla di un’aggressione razzista nei giorni in cui in tutt’Italia le piazze sono tornate a riempirsi dopo che negli Stati Uniti un poliziotto bianco ha ucciso George Floyd. Ma anche dopo che l’estrema destra è tornata ad alzare la voce. È Isa a convincere Junver a denunciare l’aggressione. Ed è Marco Beretta, segretario generale della Filcams milanese a dare la notizia è stato proprio: “Fermiamo il razzismo. Un branco di dieci persone ha brutalmente aggredito J., un nostro delegato. La sua unica colpa? Essere filippino. Un fatto di una gravità estrema che sottolinea il clima di odio e intolleranza che continua a crescere nel nostro Paese, fomentato anche da una becera propaganda politica della destra”.

Adesso Junver aspetta giustizia: “L’ho fatto – spiega - perché voglio che non accada mai più”.