Quanto è lontano il 1978, quanta distanza dal quel pensiero scientifico e politico che chiuse i manicomi e aprì le porte ad un diverso modo di prendersi cura dei pazienti con disturbi mentali. In quell’anno due furono le leggi che rivoluzionarono la sanità italiana la 180, la Legge Basaglia e la 833 quella che istituì il Servizio sanitario nazionale pubblico e universale. Oggi a 42 anni di distanza ci siamo tutti accorti come uno dei fulcri delle due leggi, depauperato da tagli e risparmi tanto diffusi negli ultimi vent’anni, sia in realtà fondamentale per garantire salute. Anche salute mentale. Stiamo ovviamente parlando della sanità di territorio. Quella che è mancata nel contrasto al coronavirus, quella che non c’è stata per assistere chi affetto da disturbi mentali si è trovato forzatamente chiuso in casa. Proprio questa è la prima sottolineatura emersa dall’annuale Conferenza nazionale per la salute mentale che si è svolta lo scorso 30 maggio in forma virtuale. Vi hanno partecipato in oltre 400 tra operatori, rappresentanti di associazioni, cooperative, sindacati, persone con esperienza di sofferenza mentale, e in migliaia l’hanno seguita via internet.

“Riconvertire le strutture residenziali h 24 destinata ad anziani e persone con disabilità fisiche e mentali, un modello che si è dimostrato fallimentare e pericoloso. Servono urgenti risorse per la salute mentale e devono essere destinate a rafforzare i servizi territoriali di comunità, a superare tutte le forme di contenzione, segregazione e interdizione che pure in questo periodo di pandemia sono aumentate. Bisogna sostituire gli spazi dell’esclusione con i luoghi della vita”. È la richiesta forte e unanime che è emersa dalla Conferenza. Era Basaglia ad affermarlo, il territorio come luogo “di cura” perché luogo di vita, di socialità, di lavoro. Il territorio deve garantire quelle strutture che consentano la cura e l’inserimento nella vita sociale e collettiva. E come negli anni sono diventati sempre più rari i consultori materno-infantili, altrettanto rari sono diventati i centri di salute mentale. Ma è tutto il sistema ad esser stato impoverito.

Gli ultimi dati disponibili sul sistema di cura per la salute mentale risalgono al 2017. Le strutture territoriali (Csm) a quella data risultano essere circa 1.330, i posti letto nei reparti ospedalieri 5.136 mentre quelli in strutture residenziali oltre 26mila, troppi per un paese che a detta dell’Oms ha una tra le migliori legislazioni per la cura della salute mentale che supera le strutture di contenimento. Se poi guardiamo al personale ci si accorge che in un solo anno (dal 2016 al 2017) vi è stata una riduzione consistente degli addetti al settore: oltre 500 medici in meno, gli psicologi sono diminuiti di 100 unità mentre tra infermieri e infermiere ne mancano oltre mille.  

La pandemia è sotto controllo e l’Italia deve ripartire. L’Italia tutta anche gli uomini e le donne che soffrono di disturbi mentali. Dagli interventi dei partecipanti alla Conferenza nazionale è arrivato il richiamo al governo a riconoscere i bisogni e le esigenze delle persone con disabilità, a partire dai servizi in larga parte inadeguati. Una rilevanza particolare è stata posta alla questione del lavoro: vera opportunità di cambiamento nella vita delle persone con sofferenza psichica ma ancora difficile da conquistare. È necessario che le esperienze delle cooperative integrate venga riconosciuta e valorizzata consentendogli di rimanere nel mercato del lavoro. I numeri ce lo ricordano, negli anni si è assistito e ancora si assiste ad una costante riduzione delle professionalità, non solo mediche ma anche sociali, impegnate nei servizi psichiatrici, sempre più schiacciati sullo specialismo disciplinare. Ma il pensiero di Basaglia e il movimento di riforma che portò alla chiusura dei manicomi affermava l’importanza di un intervento sul disagio mentale su più livelli e non solo su quello strettamente psichiatrico, da qui la necessità di investire risorse nelle diverse figure professionali e nella loro formazione.

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Per ripartire tutti insieme la Conferenza nazionale per la salute mentale indica a governo e istituzioni locali dieci punti indispensabili: dalla necessità di inserire la salute mentale tra le priorità dell’agenda politica; a finanziamenti adeguati per il Ssn e una dotazione di risorse specifiche per la salute mentale. È, ovviamente, necessario applicare il nuovo sistema di garanzie per i Livelli essenziali di assistenza inserendovi specifici indicatori per la salute mentale. E ancora si chiede che vengano organizzati i servizi sul territorio e una diversa modalità di attuazione del Trattamento sanitario obbligatorio. Dieci punti, dicevamo, indispensabili ma non sufficienti. Occorre tornare allo spirito e alla filosofia di Basaglia costruendo possibili percorsi di integrazione e inclusione. E occorre non lasciare soli, mai, pazienti, famiglie e operatori.