Dall’emergenza la necessità di una svolta radicale. Dalle relazioni sociali ai rapporti di lavoro, dalla politica industriale alla gestione della spesa pubblica, dal ruolo del pubblico in economia al macrotema della compatibilità ambientale e dell’uso delle risorse naturali: “Perché il modello di sviluppo che abbiamo alle spalle ha dimostrato tutta la sua incoerenza con il concetto di pubblico benessere e ci ha portato al disastro”. Questo pensa Maurizio Landini su Fase 2 e seguenti, aggiungendo che per cambiare davvero “serve molta più partecipazione e democrazia, in particolare nel ruolo assegnato ai lavoratori e al loro organizzarsi in sindacato”. E anche arriva qui la richiesta di una svolta rispetto a ciò che è andato per la maggiore negli ultimi decenni, dalla marginalizzazione politica e culturale del lavoro alla teoria della residualità dei corpi sociali intermedi.

Sull’attualità il segretario generale della Cgil non polemizza direttamente con Salvini che attacca la Cgil accusandola di “fermare il paese dettando la linea al governo”, ma risponde rivendicando “il contributo fondamentale” dei cosiddetti “essenziali” - le lavoratrici e i lavoratori che hanno tenuto in piedi il Paese nelle settimane più dure della pandemia - e anche dei sindacati che “indicando la garanzia alla salute come requisito indispensabile per lavorare” hanno definito insieme al governo e associazioni aziendali le regole per lavorare in sicurezza (perlomeno il più possibile e dove queste regole sono state davvero applicate). Convinto che questo abbia posto le condizioni per far la Fase 2.

Quanto al neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che considera i contratti nazionali di lavoro “un vincolo per la ripresa” e auspica tante deroghe al punto di azzerarne il ruolo, Landini evita il “frontale” ma la pensa esattamente all’opposto: i contratti nazionali vanno rafforzati, anzi devono “essere lo strumento per affrontare i cambiamenti in atto”. In altre parole, bisogna ampliarne i compiti e oltre a essere istituto salariale devono gestire la “ricostruzione” delle politiche sociali e industriali coinvolgendo i lavoratori e il sindacato sulle scelte strategiche, su come e cosa si produce: “Anche le imprese devono cambiare e se non ricostruiscono insieme a noi rischiano di proseguire su una linea fallimentare”.

Rappresentanza, confronto e pratica democratica sono, in conclusione, le chiavi per uscire dall’emergenza. Proprio per la sua profondità – “una situazione oggettivamente drammatica, non solo in Italia, ma in tutto il mondo” – e per la radicalità con cui la pandemia ha svelato tutte le fragilità del sistema, “da una sanità pubblica penalizzata da anni di tagli che si è salvata solo grazie ai sacrifici dei lavoratori del settore alla precarizzazione del lavoro che ha messo a nudo il lavoro povero e senza tutele fino a un’Europa che continuando a muoversi in ordine sparso crea nuovi conflitti interni anziché risolverli”.

È partendo da questo quadro che sono in arrivo una serie di proposte per “passare dall’emergenza a un nuovo modello di sviluppo”, un vero e proprio progetto da consegnare al Paese, individuando i settori strategici – Landini per il momento cita sanità, scuola-formazione e industria della mobilità – su cui ricostruire l’Italia e l’Europa su paradigmi diversi rispetto al passato, a partire dalla richiesta che a pagarne il prezzo non siano “coloro che per vivere debbono lavorare”. E anche questo sarebbe un fatto abbastanza inedito.