Quattro lavoratori contagiati e nessuna informazione sul reparto dove operavano, sulle persone con cui sono venuti a contatto, sulle loro condizioni di salute. All’ennesima mancanza di comunicazione e di trasparenza, i lavoratori e le lavoratrici di Amazon Torrazza Piemonte, stabilimento alle porte di Torino che conta 800 dipendenti e 1400 somministrati, incrociano le braccia per tutto il turno oggi (17 aprile) per rivendicare il diritto alla salute e per non doversi ritrovare, come già è successo, sotto ricatto tra continuità di lavoro e sicurezza. Lo sciopero è stato indetto da Filt e Nidil Cgil provinciali che chiedono all’azienda risposte precise sulle ultime positività. Mentre infatti in Francia il gigante dell’e-commerce è stato costretto a chiudere i suoi magazzini per cinque giorni per non aver rispettato le prescrizioni sanitarie secondo il tribunale di Nanterre, nel polo logistico piemontese l’informazione scarseggia. Quello che si sa è che l’ultimo caso di contagio è stato comunicato dall’azienda il 14 aprile, che il primo risale all’11 marzo, gli altri due sono stati resi noti nelle ultime due settimane.

“Ma questo non basta - afferma Lucia Santangelo, sindacalista del Nidil Cgil Torino, la categoria della confederazione che rappresenta gli atipici -. Se l’azienda non ci riferisce dove lavoravano le persone che hanno contratto l’infezione non siamo in grado di fare una valutazione di chi e di quanti possono essersi a loro volta contagiati”. Un modo sicuro per conoscere la catena della potenziale trasmissione del virus, monitorarla e circoscriverla. Oltre che per intervenire con dei correttivi nelle procedure delle lavorazioni ed evitare che il contagio in futuro si ripeta. Anche perché ogni reparto presenta problematiche diverse rispetto al rischio da Covid-19. “A Torrazza le misure di prevenzione sono state adottate, ma non completamente e non dappertutto, ed è per questo che è importante sapere dove operavano i contagiati - prosegue Santangelo -. Ci sono reparti dove è fondamentale avere mascherine e igienizzanti sempre e per tutti perché il distanziamento non è possibile mantenerlo. Un esempio? La formazione. Quando si fa in azienda e in presenza, i lavoratori vengono necessariamente a contatto e questo costituisce un rischio. Altro esempio: per alcune attività l’addetto non mantiene la stessa postazione per tutto il turno di lavoro ma la scambia con un collega incrociandosi e muovendosi a una velocità tale che non ne consente l’igienizzazione. Anche in questo caso si tratta di una procedura a rischio”.

Per ovviare a questi problemi la richiesta dei sindacati dei lavoratori è sempre la stessa: ridurre l’attività e limitarsi a inviare esclusivamente i beni essenziali. Solo rallentando i ritmi in questa fase così delicata e pericolosa si può garantire il massimo della sicurezza e l’attuazione di tutte le misure previste. “Abbiamo anche chiesto l’intervento del prefetto su questo punto - spiega Simona Cavaglià, di Filt Cgil Torino e Piemonte - , nel centro di smistamento sono andati i carabinieri dei Nas per seguire un’ispezione sulle condizioni di lavoro, ma a oggi non abbiamo nessuna informazione. Sappiamo che hanno fatto sicuramente un rilievo sugli assembramenti. Ma ci saremmo aspettati un intervento più incisivo, come quello del prefetto di Rieti che ha mandato ai responsabili dello stabilimento di Passo Corese una comunicazione chiedendo di recapitare solo i beni essenziali”. Ma anche lì l’appello del rappresentante del governo è rimasto inascoltato.

Nell’impianto di Torrazza le misure di sicurezza previste dal protocollo e monitorate dal comitato interno all’azienda sono state applicate solo parzialmente. E così capita in alcuni giorni che nella sala mensa ci siano centinaia di persone nello stesso momento: anche riuscendo a mantenere il metro di distanza, il rischio contagio è elevatissimo. O che nei reparti dove il distanziamento non è possibile mascherine e igienizzanti non vengano distribuiti sempre. “Non c’è un piano chiaro e condiviso della distribuzione dei dispositivi di protezione - conclude Santangelo di Nidil Cgil -. Non ci dicono dove operavano i contagiati in modo da consentirci di intervenire in modo mirato. E si continua a spedire beni di ogni tipo, non solo quelli di prima necessità. È per questo che oggi scioperiamo”.