Mentre ancora non sappiamo come e quando potremo ripristinare una condizione di ordinarietà per la nostra vita, l’emergenza ha aperto un tema che attiene le future connotazioni della didattica e, in particolare, la didattica a distanza. Affannati dal cercare di non interrompere il rapporto tra alunni e scuola il tema della didattica a distanza si è in realtà sostanziato nella didattica di emergenza. La formazione, così come la sanità, è stata oggetto in questi anni di tagli indiscriminati ed ora, in assenza di una vera programmazione e sposando una logica emergenziale, si sta proponendo una diseguaglianza digitale pericolosa, specie perché rischia di divenire strutturale.

Diseguaglianza nelle possibilità di accesso, che prevedono connettività e device adeguati per ogni studente, ma anche diseguaglianza nell’offerta, lasciata spesso al generoso spontaneismo di singoli docenti, chiamati a rispettare come possono il “programma” senza alcuna cognizione di come si possano costruire percorsi efficaci di apprendimento in ambienti digitali. Già, perché, anche nel caso in cui durante lo svolgimento della didattica ordinaria, si decidesse di programmare unità di apprendimento integrate con l’utilizzo delle TIC, per costruire utili percorsi di formazione a distanza servirebbero competenze che non tutti i docenti possiedono. A questo limitata diffusione dell’utilizzo delle TIC e delle relative competenze didattiche si aggiunge il tema delle piattaforme utilizzate.

Il ministero già a fine febbraio indicava due piattaforme utilizzabili per la didattica: G-Suite for Education, di Google e Office 365 Education A1. Nel pacchetto Google rientrano Hangouts Meet, che consente di comunicare via chat e videoconferenza e l’applicazione Classroom che permette di “creare classi virtuali, distribuire compiti e test, dare e ricevere commenti su un’unica piattaforma. Office 365 Education A1 è invece di Microsoft. Include Teams, che permette di attivare videoconferenze, videochiamate, lavagne digitali, collaborazione tra classi e archivio dei file, mentre Amazon offre Chime, un servizio per organizzare riunioni virtuali, chat, videochiamate e classi virtuali. Ibm e Cisco stanno mettendo a disposizione la piattaforma Cisco Webex (utilizzata anche dalle università) e un servizio di assistenza per insegnanti e studenti. Samsung a sua volta ha ideato lo Smart Learning Kit, uno strumento per la gestione della didattica a distanza. Tra le molte piattaforme, tutte private, abbiamo anche Zoom che a dicembre 2019 contava 10 milioni di utenti, mentre oggi ne conta oltre 200 milioni.

Dunque, mentre non è chiaro quando e come si uscirà da questa fase e quando e come potranno riprendere le lezioni in aula, va affrontato strutturalmente il tema di un intervento pubblico nella ideazione di piattaforme comuni, coordinate, aperte e sicure anche per la costruzione, nei contesti e per le fasce d’età che lo consentano, di attività integrate tra didattica in presenza e didattica a distanza, un investimento in innovazione che veda centrale il ruolo dello Stato in tutti i settori, a partire dal settore dell’Istruzione. In generale bisogna agire su più fronti. Il primo attiene il necessario superamento del digital divide, che riguarda la mancanza di infrastrutture tecnologiche che caratterizzano un territorio, ma anche la limitata diffusione di computer o devices utili per applicare le nuove tecnologie: ad oggi, citando una fonte del Sole24ore, o la recente ricerca Istat risulta che il digital divide coinvolga circa sette 8 milioni di persone, cittadini che non possono accedere alla rete né utilizzando i network fissi né quelli. Le scuole dovranno certamente essere prioritarie anche nella accelerazione dell’attuazione del piano BUL (Banda ultra larga) per collegarle in fibra ottica ad almeno un Giga (1 GBPS), ma parimenti si dovrà intervenire territorialmente sulle aree a minor connessione.

Poi c’è il tema della sicurezza delle piattaforme utilizzate per svolgere le attività, piattaforme su cui transitano dati, informazioni, contenuti: la gestione di queste piattaforme deve essere pubblica, trasparente, partecipata e la loro ideazione congruente con le finalità specifiche. Le modalità di gestione dei dati devono seguire indicazioni univoche che tutelino i singoli e non costituiscano vantaggio competitivo commerciale per i monopoli digitali privati, che non a caso hanno risposto repentinamente alla richiesta di solidarietà digitale, e l’investimento adeguato in sicurezza può avvenire solo se ne fa carico il sistema pubblico.

Infine, va previsto l’utilizzo di personale dedicato per la gestione tecnica della didattica a distanza e, per i docenti, un massiccio piano di formazione relativo sia alle competenze tecniche, che per quelle più squisitamente pedagogiche. La stessa didattica deve poter prevedere un passaggio relativo alla implementazione di capacità critiche che definiremo di “educazione civica”, volto ad aiutare a formare gli studenti ad assumere una nuova consapevolezza nell’utilizzo degli strumenti digitali. Perché la tecnica non è mai neutra ed il salto di paradigma, accelerato dall’emergenza, chiama il sistema di istruzione pubblica alla costruzione di percorsi di cittadinanza consapevole oggi ancor più influenzati dalla pervasività del digitale.

Da ultimo lo Stato dovrà prevedere un sostegno specifico a chi ne abbia necessità perché tutti gli studenti abbiano in disponibilità strumenti adeguati per poter partecipare alle attività didattiche.Insomma, le logiche dell’emergenza hanno sempre respiro corto e spesso evidenziano fragilità di sistema già presenti. La politica, che deve avere uno sguardo lungo, deve oggi sanare quelle fragilità rafforzando reti, competenze, contenuti e diritti.