“Il decreto del governo non vieta l’attracco in Italia delle navi, ma dice che non è certo che il nostro Paese possa esser considerato un porto sicuro. È un provvedimento ad hoc per affrontare la situazione di una sola nave, la Alan Kurdi, l’unica che attualmente si trovi ancora in mare con 150 persone a bordo”. È questo il commento di Oliviero Forti, responsabile Immigrazione per la Caritas, sul decreto interministeriale del 7 aprile.

Il testo, firmato in fretta e furia dai ministeri delle Infrastrutture, degli Esteri, dell’Interno e della Salute, prevede che per l’intero periodo dell’emergenza sanitaria nazionale i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Porto sicuro (Place of Safety). In poche parole, le banchine della Penisola non possono essere considerate sicure in quanto parte di un territorio in cui si sta combattendo contro una delle più gravi emergenze sanitarie degli ultimi anni.

Il Tavolo asilo nazionale, di cui la Caritas è una delle anime, ha risposto subito con preoccupazione, sottolineando quanto la dichiarazione del governo italiano appaia “inopportuna e non giustificabile”, perché con un atto amministrativo di natura secondaria “viene sospeso il diritto internazionale, di grado superiore, sfuggendo così ai propri doveri inderogabili di soccorso nei confronti di chi è in pericolo di vita”.

“È così – conferma Forti –, perché esistono ancora norme internazionali che sono prevalenti. Quello che ha voluto lanciare l’Italia è, in sostanza, un invito a non venire a una barca. Ma è ovvio che le persone dovranno esser salvate e poi essere sottoposte a quarantena”. Quella dei ministeri è insomma un’interpretazione arbitraria di “porto sicuro di sbarco”, non coerente con le convenzioni internazionali.

“Siamo di fronte a un monito. In questa fase, in cui l’attività in mare rischia di appesantire le attività di soccorso, il governo non vuole preoccupazioni aggiuntive all’emergenza Covid. Siamo consapevoli del momento complesso che ci troviamo ad affrontare, ma bisogna comunque garantire il rispetto dei princìpi di solidarietà e di umano soccorso, che non possono essere negati sulla base di tesi opinabili che riguardano la competenza nei soccorsi in mare, e il luogo in cui vadano condotti esseri umani in pericolo di vita”.

Per Forti, insomma, nonostante la pandemia, “non ci sono margini per lasciare in mare un’imbarcazione con persone fragili a bordo. Il tema della quarantena è sacrosanto in questo momento, ma bisogna organizzarsi perché i migranti vengano fatti sbarcare, e perché lo facciano in totale sicurezza”.

Questa decisione, tra l’altro, s’inserisce all’interno di una serie di atti che comprimono i diritti individuali di tutti i cittadini in molti ambiti. “Le decisioni del governo dovranno essere giudicate alla fine dell’emergenza – dice Forti –, è ovvio che qualora la compressione di questi diritti dovesse continuare sarebbe gravissimo. Ma la chiusura dei porti non è comunque una scelta accettabile. Sono convinto che il governo troverà una soluzione per far sbarcare quelle persone. Dobbiamo impegnarci per organizzare gli sbarchi e la quarantena in un luogo sicuro”. Anche perché “il ministero della Salute si è già attrezzato per garantire la quarantena delle navi cariche di migranti in arrivo sulle nostre coste”.