Come se non fosse bastata la crisi del 2008 dalla quale l’Europa non è mai riuscita a riprendersi del tutto, gli effetti economici della pandemia hanno finito per penalizzare fortemente i lavoratori già indeboliti da un decennio e più di politiche di austerità e rigore.

Quasi il 40% dei lavoratori dell’Unione afferma, infatti, di trovarsi in condizioni peggiori rispetto a prima e in 13 Stati membri questo dato è ancora più negativo. Diminuiscono le ore lavorate con un impatto considerevole su salari e compensi. In qualche modo il Covid ha reso più necessaria la svolta europea che i sindacati chiedevano da anni sui salari e sulla contrattazione.

In questo contesto, una svolta che i sindacati chiedevano da anni sui temi dell'Europa sociale e, più in particolare, sui salari e sulla contrattazione era attesissima. La direttiva europea e la campagna che la Confederazione europea dei sindacati sta portando avanti assieme ai sindacati nazionali hanno come obiettivo la riduzione dei gap salariali e delle diseguaglianze in un mercato del lavoro sempre più polarizzato. 

È sufficiente un dato per comprenderne l’urgenza. Al primo gennaio 2021, in Bulgaria il salario minimo orario era fissato a 2 euro l’ora, e in tredici Stati non arrivava alla soglia dei 5 euro, mentre in Lussemburgo viaggiava sopra i 12. Diseguaglianze e disparità che fotografano un mercato del lavoro dove in meno di vent’anni la contrattazione collettiva è passata dal coprire il 66% della forza lavoro al 56%.

Per quanto riguarda le buste paga, per i sindacati il punto di riferimento è la cosiddetta soglia indicativa di dignità che ha come parametro un salario minimo pari al 60% della media dei salari nazionali e al 50% del loro valore lordo. Così facendo oltre 20 milioni di lavoratori europei trarrebbero beneficio dalla direttiva. Sebbene non si tratti di una norma prescrittiva, fisserebbe comunque un target al quale fare riferimento nella fissazione dei minimi legali nazionali, dove essi
esistono.

Per la contrattazione, invece, l’obiettivo è innalzare la soglia di copertura al 70%. Qui i dati sulla copertura attuale sono altrettanto divergenti con un quadro che cambia drasticamente da Paese a Paese: in Lituania, ad esempio, è al 7%, in Lettonia e Polonia rispettivamente al 14 e al 17%, attualmente al di sopra del 70% si collocano Portogallo, Slovenia, Italia, Austria, Francia, Finlandia, Belgio, Svezia e Danimarca. Emblematico il caso della Grecia precipitata al 25% con un crollo di 75 punti percentuali, effetto proprio di quelle politiche di cui l’austerità della Troika è stata massima espressione.

Con la direttiva, laddove i parametri indicati non dovessero essere raggiunti, i Paesi dovrebbero impegnarsi in piani d’azione elaborati assieme alle parti sociali e poi sottoposti alle istituzioni europee. Una svolta dunque per l’Europa, un passo per collocarla definitivamente fuori dall’ombra di quel neoliberismo che ne ha inquinato per anni il modello sociale.