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Il 25 settembre è la Giornata mondiale per il salario dignitoso, Living Wage Action Day, celebrata per il secondo anno consecutivo dalla rete globale Clean Clothes Campaign. Un’occasione internazionale per ribadire che il salario dignitoso non è un privilegio, ma un diritto umano fondamentale, sancito dall’articolo 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Spetta quindi a tutti i lavoratori in qualsiasi parte del mondo, compresa l’Italia che ha appena approvato una legge delega sul salario minimo che non prevede alcuna paga oraria legale.
Asha e Roberta
Asha, giovane sarta in una grande fabbrica tessile in Bangladesh, e Roberta, modellista nella filiera del Made in Italy, sebbene lontane migliaia di chilometri, sono accomunate dal medesimo trattamento, raccontano da Abiti puliti, la sezione italiana della campagna: la prima lavora più di dieci ore al giorno per sei giorni la settimana, la seconda è a part-time e spesso non riceve gli straordinari.
“Pur separate da chilometri di distanza, i loro problemi sono gli stessi – spiegano -: lo stipendio non basta per pagare l’affitto, acquistare cibo sano e garantire l’istruzione ai figli. Il loro impegno è costante, ma le risorse per una vita dignitosa vengono sistematicamente negate”.
Poveri pur lavorando
Nel nostro Paese infatti ormai da tempo il lavoro non è più una garanzia contro la povertà. Stando ai dati Istat, nel 2024 il 23,1 per cento della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale, era il 22,8 nel 2023. I “working poor” sono cresciuti al 10,3 per cento, dal 9,9 del 2023. Le più colpite sono le lavoratrici straniere e in generale le donne. Per questo la Clean Clothes Campaign nel 2024 ha stimato che un salario dignitoso per una persona occupata a tempo pieno, 40 ore settimanali, dovrebbe essere di almeno 2 mila euro netti al mese, cioè 11,50 euro netti l’ora, ossia 95 euro in più rispetto al calcolo del 2022, a testimonianza della continua erosione del potere d’acquisto.
Nuova roadmap
Per combattere contro i diritti che vengono calpestati a tutte le latitudini, la Clean Clothes Compaign presenta una nuova roadmap sul salario dignitoso, una proposta concreta e realizzabile a condizione che aziende, governi e cittadini considerino questo tema una base per un’economia più giusta.
Si parte dal tessile che per dimensioni e rilevanza ha il potenziale per generare un cambiamento complessivo: “Marchi e rivenditori hanno il potere e la responsabilità di adottare politiche che garantiscano salari dignitosi lungo tutta la filiera – spiegano -. Solo così possono definirsi realmente socialmente responsabili. Servono inoltre leggi chiare e applicate sul salario minimo, sulla libertà di associazione e sulla contrattazione collettiva, integrate da sistemi solidi di protezione sociale”.
Ridurre le disuguaglianze
Gli obiettivi sono ridurre le disuguaglianze, ridistribuire i profitti e impedire che il potere economico resti concentrato nelle mani di pochi. Significa scegliere giustizia sociale invece di riarmo, transizione giusta invece di guerra permanente.
“In Italia la nostra campagna assume un significato concreto e urgente – dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice di Abiti Puliti -: è fondamentale investire nella giusta transizione, puntando sul welfare e sui salari dignitosi, piuttosto che su spese militari e riarmo. Non può esserci una transizione giusta senza garantire che tutti le ricevano un salario che permetta loro di vivere con dignità. Le risorse pubbliche e private devono essere destinate a rafforzare i diritti, ridurre le disuguaglianze e costruire un sistema sociale più equo, capace di proteggere chi lavora ogni giorno”.