La campagna primaverile di routine per l’arruolamento nel servizio di leva, indetta in Russia dal 1° aprile al 15 luglio con l’obiettivo di reclutare, per l’anno in corso, 134.500 uomini, sarà quest’anno diversa dal solito. Benché il ministro della Difesa, Sergej  Šojgu, abbia dichiarato che “i coscritti non verranno inviati in nessun punto caldo” e che allo scadere del loro servizio i militari della leva precedente verranno inclusi nelle riserve e inviati al luogo di residenza, quanto accaduto in questo mese di guerra non fa ben sperare. È difficile fidarsi di fronte alla girandola di affermazioni di senso opposto che si sono succedute dall’inizio della “operazione militare speciale”.

Il 28 febbraio il portavoce del ministero della Difesa, Igor Konašenkov, dichiarava che “solo gli ufficiali e i militari che prestano servizio a contratto come soldati e sergenti prendono parte all'operazione militare speciale delle forze armate russe”, così come in un video, indirizzato alle donne l'8 marzo, Vladimir Putin prometteva che il comando dell'esercito russo non avrebbe annunciato un'ulteriore chiamata di riservisti e non avrebbe utilizzato coscritti nella guerra con l'Ucraina. Tuttavia, il giorno successivo il ministero della Difesa russo riconosceva la partecipazione dei soldati di leva alle ostilità, arrivando poi a sostenere che ciò era avvenuto “per errore”.

Una versione molto diversa da quella dei giovani che sono stati catturati, hanno disertato o, ancora, da quella dei loro genitori e parenti, rivoltisi alla stampa, alle organizzazioni per la difesa dei diritti dei soldati - quali, prima di tutte, il Comitato delle madri dei soldati russi - o addirittura al Presidente stesso. Il 10 marzo, Marina Ivanova, madre di un coscritto di San Pietroburgo, rivolgeva un appello a Putin con la richiesta di rimandare in Russia alle proprie unità i soldati di leva, che non solo erano stati inviati in Ucraina senza saperlo, convinti di andare a fare delle esercitazioni in un campo di addestramento ma, fatto altrettanto grave, venivano indotti dai comandanti, contro la propria volontà, a firmare un contratto con le Forze armate per prolungare la ferma, cambiando in tal modo il proprio stato giuridico.

 

Ci sono giovani soldati che dichiarano di aver addirittura scoperto di essere a contratto perché così registrati, a loro insaputa, sui propri libretti militari, pratica contro la quale il Comitato delle madri offre tuttora consulenza legale. Diversamente dai coscritti, I kontratniki, infatti, non possono, in caso di guerra, rifiutarsi di servire, e se lo hanno fatto, sono stati comunque mandati al fronte. È quanto è successo, secondo la pubblicazione giuridica ucraina Grati, in Crimea, dove 80 militari, di leva e a contratto, si sono rifiutati di combattere: solo i coscritti, pur se minacciati di ritorsioni, sono stati trasferiti in Russia.

Non sono stati i soli a ribellarsi: il 24 marzo, Pavel Chikov, un avvocato del gruppo internazionale per i diritti umani Agora, ha riferito che 12 membri della Guardia nazionale (gli Omon che vediamo nella repressione delle manifestazioni di piazza) di Krasnodar, di stanza in Crimea, si sono rifiutati di eseguire l'ordine del comandante di entrare in guerra in Ucraina e sono stati licenziati. L’avvocato che segue il loro appello in tribunale, Mikhail Benyash, ha dichiarato al giornale Meduza che le regole che valgono in guerra non possono essere invocate in questo caso, poiché lo Stato proclama non trattarsi di guerra, ma di “operazione speciale”. Il caso ha una risonanza nazionale, l’associazione Agora ha ricevuto centinaia di richieste di contatto per casi simili, dalla Siberia al Caucaso settentrionale, perché, sostiene l’avvocato, che ha ricevuto anche anonime intimidazioni personali, “la gente non vuole uccidere ed essere uccisa”.

La mancanza di entusiasmo per questa guerra è probabilmente alla base anche del forte aumento di richieste di informazioni che gli attivisti per i diritti umani e i loro avvocati ricevono in merito al servizio civile alternativo. Se in tempo di pace le domande erano quasi inesistenti e limitate ai pacifisti convinti - vuoi per la maggiore durata della ferma, vuoi per le pressioni ricevute durante l’arruolamento - ora esse si sono moltiplicate.

A preoccuparsi, comunque, non sono solo i giovani in età di leva, tra i 18 e i 27 anni, ma anche i riservisti, che temono una mobilitazione generale, nonostante le rassicurazioni in senso contrario del ministero della Difesa. Sono più di uno i segnali considerati preoccupanti: il 18 febbraio, infatti, alla vigilia dell’invasione, Putin ha firmato un decreto con il quale i riservisti sono chiamati per il 2022 all'addestramento militare; contemporaneamente, si sta chiedendo ai datori di lavoro di organizzare tra i commissari militari e i propri dipendenti delle riunioni in cui “dare informazioni sulla procedura riguardante il servizio dei riservisti”, secondo quanto scrive uno di coloro che hanno contattato la hotline dell'organizzazione Agorà, che in una settimana ha ricevuto più di 500 chiamate di coscritti, militari e loro parenti. Alcune categorie, poi, rientrano automaticamente nella riserva: il personale medico, ad esempio, può essere mobilitato in caso di necessità militare, e molti medici civili, riferisce “Mediazona”, hanno contattato “Agora” segnalando, preoccupati, che si stanno compilando liste per un possibile viaggio di lavoro in zone di confine nell’ambito della “operazione speciale”.

Gli attivisti per i diritti umani specializzati nei diritti dei coscritti e del personale militare affermano che ora ricevono molti più appelli rispetto a prima della guerra, e non escludono che i tentativi di rifiutare il servizio militare possano ora essere seguiti da misure repressive, così come si aspettano anche tali misure contro coloro che sono già in servizio militare in Ucraina e sono stati catturati lì, si sono arresi e hanno partecipato a eventi pubblici. Alcuni di quelli che sono stati rimpatriati in Russia temono di essere mandati nuovamente a combattere, sono stati isolati e privati di documenti personali e telefoni, e non conoscono i propri diritti. Gli avvocati delle organizzazioni per i diritti umani si dichiarano pronti a difenderli e a strappare allo Stato, anche per i combattenti, quel diritto al rifiuto della guerra, attraverso un servizio civile alternativo, che la Costituzione già garantisce, almeno in teoria, a coloro che sono in età di leva ma non sono ancora stati arruolati.

ge:kolumbus:rassegnacgil:1973871