Clima, fonti energetiche rinnovabili, futuro del pianeta. Di questo ha parlato a Economisti erranti, la rubrica di RadioArticolo1, Simona Fabiani, area Politiche di sviluppo della Cgil nazionale. L’occasione è la presentazione da parte del governo del piano nazionale integrato per l’energia e il clima in Europa, che, secondo i sindacati confederali, non va bene per come è stato formulato.

 

“Ci sono tante cose che, come Cgil, Cisl e Uil, non condividiamo di quel piano. La prima, è che non è abbastanza ambizioso e mette il nostro Paese non in grado di raggiungere la preventivata riduzione delle emissioni al 37%, quota inferiore a quel 40% già stabilito dall’Unione europea, mentre gli scienziati parlano ora di una riduzione del 55% entro il 2030”, afferma Fabiani.

Siamo indietro anche per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici da installare sugli edifici pubblici - operazione prevista dalle direttive europee -, così come il nostro Paese è arretrato dal punto di vista dell’efficienza energetica. "Ci sono tantissimi investimenti da fare, che creerebbero tanta nuova occupazione e consentirebbero prima di tutto di risparmiare energia. La nostra bilancia commerciale se ne avvantaggerebbe, ma quello che manca è la volontà politica e il piano presentato così arretrato ne è la dimostrazione più evidente”, osserva Fabiani.

“Come confederali, cui si è associata anche Legambiente, abbiamo proposto dieci punti per modificare il piano del governo, peraltro già bocciato da uno studio europeo. Innanzitutto, gli investimenti sono insufficienti, e chiediamo che vengano incrementati fino a un totale di 1.195 miliardi da qui al 2030. Occorre anche un piano industriale che accompagni il raggiungimento degli obiettivi. Ad esempio, in campo automobilistico, ci vuole la transizione verso l’elettrico, per mettere le nostre industrie nelle condizioni di diventare produttori di auto elettriche, puntando su formazione, riqualificazione professionale, ricerca. Altrimenti, il tutto si risolve con un aumento delle importazioni, che non facilitano il nostro Paese, ipotizzando la mobilità elettrica al 2030 ancora dipendente per il 40% dalle fonti fossili”, rileva Fabiani.

“Noi possiamo organizzarci contro tali istituzioni e scendere in piazza, come faremo per la seconda volta il 24 maggio, giornata dedicata al nuovo sciopero mondiale per il clima. Il nostro movimento sta crescendo e ci aspettiamo che per quella giornata si formi un grandissimo corteo, così come un’altissima adesione penso avrà il festival dello sviluppo sostenibile che si tiene a fine maggio-primi di giugno, organizzato dall’Asvis, l’associazione per lo sviluppo sostenibile, di cui anche la Cgil fa parte”, conclude Fabiani.                  

“La giusta transizione, da noi auspicata, è quella che deve assicurare che il futuro dei mezzi di sussistenza di lavoratrici e lavoratori sia verso un’economia a basse emissioni di carbonio". Così Neal Huddon Cossar, della Ong Keep it in the ground, intervenuto nel corso della trasmissione. "Tale transizione - spiega Cossar - deve basarsi su un dialogo sociale, maggiori opportunità di formazione e maggior sicurezza di posti di lavoro per tutti gli addetti colpiti dal riscaldamento globale e dalle politiche in tema di cambiamenti climatici. Ad esempio, si costruisce un nuovo gasdotto, che può creare nell’immediato nuovi posti di lavoro e sicurezza energetica, ma a lungo termine proprio quell’opera mette a rischio migliaia e migliaia di altri lavori di agricoltori e quant’altro. Noi, come altre 350 Ong, riteniamo che ciò che mantiene questo sistema insostenibile sia la finanza e la Bei, la banca dell’Ue, che continua a investire miliardi, sia pubblici che privati, su opere di combustibili fossili”, aggiunge Cossar.