Il 12 settembre 2023 l’Ocse ha pubblicato, come ogni anno, Education at a Glance: un rapporto di più di 400 pagine sulla situazione dell’istruzione mondiale basato su un’enorme mole di dati comparati tra i diversi Paesi, con l’intento di fornire a tutti i governi nazionali e ai decisori politici uno strumento di lavoro. Il Report non indica quindi precise soluzioni politiche, ma, nonostante il sotterraneo approccio liberista (si ricordi che spesso gli studi dell’Ocse sono poi propedeutici alle decisioni prese nel G7), raccoglie e organizza elementi che permettono interpretazioni fondamentali.

Dalla lettura del rapporto, in generale, non emergono novità di particolare rilievo, soprattutto rispetto alle problematiche questioni sulle risorse finanziarie dedicate ai settori della conoscenza. Il mondo dell’istruzione complessivamente appare del tutto sottofinanziato, dato ancor più rilevante considerato che, anche secondo l’organizzazione internazionale, un adeguato investimento economico è la precondizione per fornire un’istruzione di qualità. L’Italia, a fronte di una media dei paesi Ocse del 5,1% del Pil dedicato all istruzione, raggiunge solo il 4,2% che, nella fattispecie, è così suddiviso: il 30% per la scuola primaria, il 16% per la secondaria di primo grado, il 30% per la secondaria di secondo grado, e il restante 24% per l’università, i master e i dottorati. Si noti, per maggiore comprensione, che in Italia viene utilizzato quasi il 20% in meno delle risorse della media degli altri paesi, cosa che, sia rispetto agli obiettivi di formazione nazionale, sia rispetto alla competitività internazionale, costituisce realmente un punto di debolezza insormontabile.

Sul piano internazionale, uno dei problemi più gravi dei sistemi d’istruzione è una carenza endemica di docenti e tale fenomeno viene di solito spiegato con ‘la mancanza di attrattività della professione docente’. Secondo i dati Ocse, il vero ostacolo è il salario troppo basso, soprattutto se rapportato ad altri lavori che prevedono la stessa qualificazione, che in media assicura il 10% in più in busta paga. Si aggiunga a questo che, dal 2015 ad oggi, a fronte di un aumento medio dei salari dei docenti appena dell’1%, in più di metà dei paesi il potere di acquisto reale, a causa dell’inflazione, è addirittura diminuito. 

In particolare, per quanto attiene l’Italia, un docente della scuola secondaria di secondo grado guadagna in media 44.235 dollari (che è la moneta che si usa per fare i confronti), cioè 32.588 euro, a fronte di un analogo salario medio lordo nei paesi Ocse di 53.456 dollari. A parità di condizioni quindi per i docenti italiani la retribuzione è quasi il 20% in meno. Inoltre, rispetto ad altre professioni con una qualificazione equivalente, il salario degli insegnanti in Italia è addirittura inferiore del 30%. Per essere più precisi, lo stipendio degli insegnanti delle scuole superiori rappresenta solo il 74% del salario di altre professioni equiparate, mentre nelle scuole elementari rappresenta solo il 65%. 

Nell’evento di presentazione del rapporto, il Ministro Valditara ha ammesso che il problema dell’attrattività della professione docente, come afferma esplicitamente e chiaramente il Rapporto Ocse, è salariale, ma ha poi affermato che il vero problema sarebbe invece il ‘ridare l’autorevolezza sociale’ ai docenti. L’affermazione è sinceramente inaccettabile e ci si limita qui a ricordare che il riconoscimento sociale e dell’autorevolezza della professionalità passa necessariamente anche per un riconoscimento salariale che sappia tener conto della preparazione, delle competenze e della qualità del lavoro, oltre che della strategicità della funzione docente per il futuro di un Paese come l’Italia.

Cosa si deve notare in particolare da questi dati? La minore quantità di Pil dedicato all’istruzione, in realtà corrisponde esattamente ai risparmi ottenuti sui salari dei docenti e del personale Ata, che subiscono in prima persona le politiche governative miopi e sciagurate. Si noti, tra l’altro, che in Italia il fenomeno della mancanza di attrattività della professione docente in pratica non è omogeneamente distribuito sul territorio nazionale, a causa delle profonde differenze economico e sociali tra il Nord e il Sud e dei ‘relativi’ mercati del lavoro. Infatti al Nord, poiché si scelgono a parità di qualifica altri lavori meglio remunerati, i ruoli di docente e personale Ata sono occupati da chi, nelle regioni di provenienza, non riesce a trovare spazio nella scuola, dove le minori opportunità spingono addirittura molti professionisti, architetti, ingegneri, avvocati a rivolgersi all’insegnamento, considerandolo una situazione lavorativa più stabile e sicura.

Sempre se guardiamo i dati tenendo conto delle differenze territoriali e delle trasformazioni nel tempo del mercato del lavoro, appare preoccupante il numero dei giovani sotto i 35 anni senza titolo di studio: mentre la media Ocse è del 14%, in Italia è addirittura del 22%, mentre, al contrario, il numero dei laureati, sotto i 65 anni, è del 22% come media Ocse e del 14% per l’Italia. È importante considerare altri tre dati in modo congiunto. Innanzitutto, nella fascia d'età compresa tra i 25 e i 34 anni, in Italia chi non possiede un diploma guadagna solo il 4% in meno rispetto a coloro che lo hanno, mentre una laurea porta a un salario superiore dell'8%. Questo rispecchia esattamente la situazione attuale del mercato del lavoro.

Tuttavia, se poniamo l'attenzione sulla fascia d'età tra i 45 e i 54 anni, notiamo un quadro diverso: in media nei Paesi Ocse, le persone con un diploma tecnico guadagnano il 23% in più rispetto alla media, ma in Italia questa percentuale sale addirittura al 40%, e questo è probabilmente il portato di un mercato preesistente e confermato nel tempo. Il rapporto infatti suggerisce che ciò possa spiegare la diffusione così ampia dell'istruzione tecnica in Italia. Tuttavia, i dati indicano chiaramente un cambiamento nel mercato del lavoro che si è verificato negli anni. Fino a pochi decenni fa, possedere un diploma rappresentava un vantaggio per trovare lavoro, ma oggi tale vantaggio sembra non essere più così evidente o rilevante.

Non sorprende, quindi, che solo il 55% dei ragazzi e delle ragazze che lasciano la scuola tecnica in Italia trovi un impiego entro due anni, situazione che rappresenta il peggior dato tra tutti i Paesi Ocse. È importante interpretare questi dati considerando anche l'esistenza di un mercato del lavoro informale, soprattutto nel Sud del Paese, il che ci fa supporre che molti di questi giovani non siano affatto disoccupati, ma piuttosto ‘lavoratori senza nessun diritto e senza nessuna tutela’ che sfuggono alle statistiche cadendo nelle grinfie del lavoro nero. 

Un altro dato colpisce, perché ne emerge una società dove i ruoli di genere non sono ancora bilanciati. Nella scuola pre-primaria, le educatrici costituiscono il 99% del personale e, quindi, i loro colleghi maschi sono solo l’1%. Che ci fosse una preminenza femminile era noto, ma almeno in Francia la percentuale maschile sale al 9% e in Spagna al 7% (aumentando di 2 punti percentuali negli ultimi 8 anni), solo per fare due esempi paragonabili. In questo caso, la questione però sembra essere più sociale che economica, ma bisogna ammettere che la percentuale è un dato veramente impressionante. Di tendenza apposta invece il salario femminile per la fascia da 24 a 35 anni con istruzione post secondaria, che pur essendo ancora l’86% di quello maschile, supera sensibilmente la media Ocse che è addirittura dell’80%.

Ma nonostante tutto, gli studenti dal resto del mondo scelgono ancora l’Italia, e il dato, a dispetto anche del Covid 19 - che in molti Paesi ha fatto crollare il numero di studenti stranieri -, è ancora alto e stabile: il 3% di studenti universitari e il 10% dei dottorandi vengono dall’estero, e più della metà sono ragazze. Questo probabilmente dimostra che la dedizione di tutto il personale italiano dell’istruzione, docente e non, cerca di assicurare in ogni modo un’istruzione di qualità, per tutti.

Allora quando Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil, per valorizzare il personale della scuola, chiede pubblicamente al Ministro dell’Istruzione Valditara di mettere le risorse del contratto 2022/24 nella legge di Bilancio, includendo l’inflazione accumulata, lo fa supportata dalle grandi organizzazioni internazionali come l’Ocse, individuando sia il problema che la soluzione.

Claudio Franchi, Centro nazionale Flc Cgil