Domani nella battaglia pensa a me. Si potrebbe intitolare così, evocando Shakespeare e un noto romanzo dello scrittore spagnolo Javier Marías, un rendiconto globale sulle condizioni dei lavoratori e dei sindacati nel mondo. Quel rendiconto esiste, è il Global Rights Index curato dalla Csi-Ituc (la confederazione internazionale dei sindacati), prende in esame e classifica lo stato di salute del mondo del lavoro in 149 Paesi, ed è arrivato quest’anno alla sua decima edizione. 

Ossia: dieci anni di diritti dei lavoratori sotto attacco. Questo il tema scelto dall’Ituc nel presentare il documento. Secondo gli estensori del Rapporto, la crisi dell'economia globale è stata affrontata “con un giro di vite sui diritti dei lavoratori in ogni regione del mondo”. Parole da prendere alla lettera. Non riguardano solo aree remote, Paesi non democratici o poveri ma la stessa Europa, dove un generale dissanguamento economico dei lavoratori, causato dalle pistole dell’inflazione e dai coltelli di salari inadeguati, è sotto gli occhi di tutti. Un’emergenza che, a partire da settembre, riempirà le piazze europee, in una mobilitazione contro l’austerità coordinata dalla Ces (la sigla che coordina i sindacati europei) e fortemente voluta dalla Cgil.

Ma restiamo ancora al Rapporto Ituc. Che denuncia come nel 2023 i “punti chiave delle violazioni dei diritti dei lavoratori” abbiano “raggiunto livelli record”. “Dall'Eswatini al Myanmar, dal Perù alla Francia, dall'Iran alla Corea, le richieste dei lavoratori di veder rispettati i loro diritti sul lavoro sono state ignorate e il loro dissenso ha incontrato risposte sempre più brutali da parte delle forze statali”, si legge.

Tra le irregolarità più gravi, l’Ituc segnala che 9 Paesi su 10 hanno violato il diritto di sciopero. Ad esempio, i lavoratori in Canada, Togo, Iran, Cambogia e Spagna sono stati perseguiti penalmente o licenziati a seguito della loro decisione di scioperare. Ben il 77% dei Paesi ha escluso i lavoratori dal diritto di costituire o aderire a un sindacato.

E ancora: “Il diritto alla libertà di parola e di riunione è stato limitato nel 42% dei Paesi, il che spesso ha portato i lavoratori a protestare contro la brutalità della polizia. In Francia le proteste legali (contro la ‘riforma’ delle pensioni, ndr) sono state accolte con feroci pestaggi da parte della polizia, arresti indiscriminati e gas lacrimogeni. In Iran, gli insegnanti sono stati arrestati e picchiati dalla polizia per aver preso parte alle manifestazioni del Primo Maggio”.

E ancora: 8 Paesi su 10 hanno violato il diritto alla contrattazione collettiva. In quasi 70 Paesi lavoratori e attivisti sindacali sono stati arrestati e detenuti, e nel 65% dei Paesi non è stato loro garantito un accesso equo alla giustizia.

“L'Ituc Global Rights Index 2023 fornisce prove scioccanti che le fondamenta della democrazia sono sotto attacco. Esiste un chiaro legame tra il rispetto dei diritti dei lavoratori e la forza di qualsiasi democrazia. L'erosione dell'uno equivale al degrado dell'altra”. Questo il commento del segretario generale ad interim dell'Ituc, Luc Triangle

“Sia nei Paesi ad alto reddito che in quelli a basso reddito, poiché i lavoratori hanno affrontato una crisi storica del costo della vita e un'inflazione vertiginosa guidata dall'avidità aziendale, i governi hanno represso il diritto di negoziare collettivamente aumenti salariali e intraprendere azioni di sciopero”.

I 10 Paesi peggiori per i lavoratori nel 2023 sono: Bangladesh, Bielorussia, Ecuador, Egitto, Eswatini, Guatemala, Myanmar, Tunisia, Filippine e Turchia. Solo Ecuador e Tunisia sono nuovi ingressi. Gli altri sono vecchi clienti.

Osserva ancora Triangle: “Il confine tra autocrazie e democrazie si sta offuscando. Quando il dialogo tra Stato e cittadino si interrompe, quando le nazioni flirtano con l'autocrazia per approvare leggi impopolari, quando i governi dispiegano le forze statali per reprimere la legittima resistenza, la democrazia è in pericolo e i lavoratori ne subiscono le conseguenze”.

Non è questione cui l’Europa sia estranea. Ne è consapevole il movimento sindacale europeo che, lo scorso 27 giugno, in occasione dell’Esecutivo Ces, ha ufficializzato una lunga mobilitazione autunnale in difesa del mondo del lavoro, contro l’austerità, contro il precariato e per salari più alti. 

In una prima fase, tra settembre e ottobre, tutti i sindacati affiliati saranno chiamati a aderire organizzando manifestazioni nazionali. Come ad esempio, in Italia, l’appuntamento del 30 settembre in difesa della Costituzione indetto dalla Cgil e da molte associazioni (dopo la prima manifestazione del 24 giugno). 

La giornata clou di questo ‘autunno caldo’ sarà il 13 ottobre. Seguirà una euromanifestazione a Bruxelles, a fine dicembre, per dare una voce sola, e unita, al mondo del lavoro Ue. E per concludere l’ennesimo anno molto difficile, il 2023. In attesa di un anno molto importante, il 2024, quando saremo chiamati a votare per il nuovo Parlamento europeo.