Questa volta non si tratta di far fronte a un evento naturale come fu per il terremoto del febbraio del 2010 che distrusse la capitale, Port au Prince e provocò oltre 220mila di morti, ma di ricostruire un Paese distrutto da una congiunzione di cause tutte convergenti sulla gestione politica e istituzionale dell’isola.

La descrizione, presentata da docenti universitari e dirigenti sindacali durante la conferenza promossa dal movimento sindacale haitiano per lanciare dopo dieci anni, la propria road map per la ricostruzione, non lascia alcuna possibilità di dubbi: Haiti è senza istituzioni, la popolazione è alla fame e le bande armate hanno occupato la scena nazionale per violenza e terrore imposto.

In questo contesto drammatico, il movimento sindacale e alcuni settori della società civile si sono contrapposti alla violenza e alla corruzione dilagante, costruendo unità d’azione, alleanze tra i diversi soggetti, fino a elaborare una proposta nazionale per uscire dalla crisi, per comunicare alla comunità internazionale il dramma che sta vivendo il Paese e che la ricostruzione sociale, economica e politica è tanto possibile quanto urgente.

All'origine del caos

Da dove deriva questa congiunzione di crisi che ha fatto saltare il tavolo istituzionale? Secondo i docenti universitari presenti alla conferenza, l’elemento che ha determinato il salto di qualità della crisi è l’incontro di interessi tra le bande armate e i cosiddetti “imprenditori politici” che hanno assaltato lo Stato impadronendosi delle sue risorse. Si calcola che il 70% del Pil sia nelle loro mani.

Un processo di occupazione del potere statale da parte di un certo tipo di imprenditori privati, che ha origini con il colpo di Stato del 2004 ed è proseguita sino a oggi, tollerato se non sostenuto da altri gruppi di potere economico e finanziario esterni. Fino a trovare un’altra temibile congiunzione politica: quella con la destra internazionale, facendo emergere nel Paese forze di estrema destra oggi al governo nella frammentazione e vuoto politico sintetizzato dalla presenza di 150 partiti o tali pronti per le prossime elezioni.

Altra causa che ha contribuito al caos attuale è stata la gestione dei fondi per la ricostruzione post-terremoto, risultata essere un vero disastro: si calcola che solamente l’1% dei fondi ricevuti siano andati alle casse dello stato per la realizzazione di opere o di sostegno al bilancio statale.

Per non dire della presenza della missione di peace-keeping delle Nazioni Unite che è vista dalla popolazione come una nuova forma di polizia coloniale e di controllo politico, ma soprattutto è stata protagonista di violenze e problemi come l’allontanamento di 150 soldati srilankesi accusati di violenze sessuali su minori e la diffusione del colera da parte del contingente militare del Nepal che ha causato quarantamila morti.

L'economia haitiana

Haiti oggi ha una popolazione di circa 12 milioni di abitanti. Circa l’85% della popolazione economicamente attiva è occupata nell’economia informale. Solo il 4% di chi lavora ha accesso al sistema sanitario. L’economia produce povertà: salario giornaliero di un operaio è inferiore ai cinque dollari americani e per una lavoratrice domestica meno di due dollari al giorno. L’inflazione nel 2022 è stata del 45% e la moneta locale è stata svalutata del 50% sul dollaro americano. Un haitiano su venti soffre la fame e il 7% della popolazione è in condizioni di povertà estrema. Il 47% della popolazione è considerato analfabeta.

I giovani diplomati non trovano lavoro e sono costretti a emigrare: l’80% dei laureati è fuori dal paese. La fuga dal paese è la risposta alla disperazione. Chi può se ne va nella Repubblica Dominicana, con cui Haiti condivide l’isola, anche se in condizioni di precarietà e spesso di non facile integrazione vista la storia tra le due comunità.

Oggi, circa mezzo milioni di haitiani hanno un regolare permesso di soggiorno e di lavoro ma altrettanti son irregolari e il governo dominicano sta pensando di costruire un muro, sul modello della frontiera Messico/Usa. In Cile sono poco meno di duecentomila, in Brasile circa centocinquantamila. Le rimesse dei migranti che entrano nell’economia haitiana corrisponde circa al 30% del PIL. 

I parchi industriali che ospitano società multinazionali, principalmente dei settori tessile ed elettronico, per la confezione e l’assemblaggio di prodotti per l’esportazione in condizione di “zone franche”, nonostante le condizioni economiche altamente favorevoli, hanno iniziato a lasciare il Paese per il problema della violenza e dell’assenza di sicurezza, mettendo sulla strada migliaia di lavoratrici e lavoratori senza nessun tipo di indennità o di ammortizzatore.   

La proposta di “road map” per la ricostruzione istituzionale, economica e sociale di Haiti presentata nella conferenza è anche un appello alla comunità sindacale internazionale e alla società civile per lavorare insieme nella denuncia e nella ricostruzione. Il piano di ricostruzione, in estrema sintesi ha tre grandi ambiti: lo stato di diritto; il lavoro decente e i diritti umani; la protezione sociale. All'interno di questi ambiti emerge la rivendicazione del diritto di autodeterminazione del popolo haitiano, protagonista delle lotte per l’eliminazione della schiavitù e dell’indipendenza dalla colonia francese.

La Confederazione delle Americhe e i sindacati europei, del Canada, dell’America Centrale e del Sud presenti alla conferenza hanno confermato l’impegno e il sostegno alla piattaforma del movimento sindacale haitiano perché la lotta per i diritti umani fondamentali, per le libertà e per la democrazia sono oggi, più che mai, il terreno della solidarietà tra lavoratori e lavoratrici, e tra i popoli.

 Sergio Bassoli, area Internazionale Cgil