Nella Germania nazista il 3 maggio 1933 è il primo giorno senza sindacati. Adolf Hitler li ha sciolti tutti il giorno precedente nell’ottica del Gleinchschatung, processo volto a esercitare un controllo totale sulla società. Nasce contemporaneamente il Daf (Deutsche Arbeitsfront, Fronte tedesco del lavoro), un’organizzazione corporativista istituita il 24 ottobre 1934 col fine di sostituire i sindacati tradizionali, già sciolti con la forza come i partiti politici. Il regime avocava a sé la rappresentanza sindacale, esattamente come era accaduto in Italia qualche anno prima.

Dal 1922 al 1926, anche in Italia il fascismo porterà a termine l’annientamento delle tradizionali organizzazioni sindacali, fino alla loro definitiva soppressione legale. La violenza squadrista si scatenerà contro le leghe, le camere del lavoro, le cooperative, gli uffici di collocamento, nonché contro numerose amministrazioni comunali, specie della Val Padana. Con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconosceranno reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro abolendo le Commissioni interne.

La sanzione ufficiale di tale svolta arriverà con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconoscendo giuridicamente il solo sindacato fascista - l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro - istituirà una speciale Magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro cancellando il diritto di sciopero.

Scriveva Pietro Nenni nella prefazione a un libro del figlio di Giacomo Matteotti, Matteo, dal titolo La classe lavoratrice sotto la dominazione fascista 1921-1943:

Questo libro di Matteotti avrebbe dovuto essere presentato al pubblico da Bruno Buozzi. Nelle settimane dell’occupazione nazista di Roma, che precedettero il suo arresto, Bruno Buozzi si era consacrato con passione allo studio dei problemi sociali ed economici ed aveva lavorato, con una commissione di compagni socialisti, alla relazione di un progetto di socializzazione della grande industria, al quale il suo nome resterà indissolubilmente legato anche se il destino ha voluto che Egli fosse bestialmente assassinato dai nazisti proprio il 4 giugno concludendo col suo martirio la parentesi della tirannia fascista apertasi vent’anni prima col martirio di Giacomo Matteotti. Il libro di Matteo aveva molto interessato Bruno Buozzi, che nel giovane autore si compiaceva di ritrovare le qualità di serietà e di metodo che avevano fatto del padre un esempio di vita. Per molto tempo il fascismo è riuscito a far credere all’estero, e perfino in certi settori dell’opinione interna, che la sua sollecitudine per le classi lavoratrici era senza precedenti e senza pari. Matteo Matteotti distrugge, con dati e fatti irrefutabili, codesta menzogna. Egli dimostra come venti anni di politica salariale fascista siano stati la dimostrazione del vero carattere del regime dittatoriale: quello di basare i guadagni della oligarchia dominante e privilegiata, sullo sfruttamento dei lavoratori di tutte le categorie. La legislazione sul lavoro fu costantemente rivolta in regime fascista contro i lavoratori. Ogni forma di protezione a favore degli operai fu rimossa. Con decreto legge si stabilì per molte categorie il licenziamento senza motivazione, senza alcuna garanzia, senza accertamenti, senza preavviso e senza indennizzo.

Le otto ore di lavoro, stabilite sulla carta, non vennero che raramente rispettate ed in alcune regioni si arrivò a dieci ore di lavoro. Per i salariati agricoli gli orari di lavoro raggiungevano anche le tredici e le quattordici ore. Accanto allo sfruttamento del sopralavoro durante tutto il periodo fascista si è avuta una disoccupazione elevatissima che, dopo il 1933, non scese mai sotto al milione di senza-lavoro. Lo sfruttamento della mano d’opera femminile ed infantile da parte degli imprenditori non ebbe limite ed il controllo dello Stato in questo campo non fu mai esercitato. Il regime di fabbrica, basato sui sistemi polizieschi introdotti dal fascismo in tutta la vita del paese, fu tale da rendere insopportabile la vita dei lavoratori nei posti di lavoro. Negli stabilimenti furono immessi fascisti con funzioni puramente intimidatorie e di spionaggio. Il riposo settimanale in molti casi non fu rispettato, quello annuale quasi mai. Gli operai venivano regolarmente licenziati prima dello scadere del termine del periodo che dava diritto al riposo annuale. Il lavoro straordinario nel periodo 1919-21veniva retribuito con aumenti del 25% per le ore successive all’ottava e fino alla decima e del 50% per le ore successive alla decima, dopo l’instaurazione del regime fascista venne retribuito con aumenti molto più bassi e cioè del 15% per le prime due ore di lavoro straordinario e del 25% per le ore successive. Le previdenze del regime fascista a favore della classe lavoratrice, tanto vantate, non ebbero altro scopo che quello di dare allo Stato disponibilità finanziarie decurtando i già magri salari.


“Il fascismo - diceva del resto Bruno Buozzi nel 1930 - rappresenta nella vita nazionale dell’Italia un episodio doloroso: i segni della riscossa e della liberazione sono già ripetuti e frequenti. L’esperienza fascista, soprattutto in campo operaio, costituisce una ingiustizia atroce, un passo all’indietro, la perdita di anni preziosi. Ma nel popolo italiano, sobrio e lavoratore, tenace e paziente, si registra una forza vitale così meravigliosa, una energia così sincera e così sicura che i lavoratori d’Italia, quando si saranno liberati dal fascismo, sapranno recuperare in fretta gli anni perduti. E di questa parentesi umiliante nella sua violenza e nella sua brutalità gli italiani avranno allora avuto un solo beneficio: la ferma convinzione che la libertà è una condizione necessaria per qualsiasi elevazione delle masse, e che in questo consiste il bene supremo; un bene, però, da conquistare e difendere ogni giorno”. No, il fascismo non ha fatto cose buone e non amava né gli italiani né i lavoratori. Continuiamo a ripeterlo.

LEGGI