Il gas russo. La chiusura del rubinetto. Una questione che sembrava di facile soluzione si sta rivelando invece molto più complessa e la dipendenza dell’Europa dai gasdotti è molto più importante di quello che si vuol far credere. Abbiamo chiesto di fare il punto a Vincenzo Comito, esperto della materia.

Allora Comito, come stanno le cose?
Cominciamo a spiegare che cos’è la dipendenza dell’Europa dalle forniture di gas russo Secondo i dati disponibili (fonte Eurostat), nel primo semestre del 2021 l’Ue ha importato il 46,8% del suo fabbisogno di gas dalla Russia, il 20,5% dalla Norvegia, l’11,6% dall’Algeria, il 6,3% dagli Stati Uniti, il 4,3% dal Qatar e il 10,5% da altri paesi. Se prendiamo in considerazione l’intero anno, i dati non variano di molto. Gazprom è il gigante del settore a livello mondiale; produce più gas di BP, Shell, Chevron, Exxon, Saudi Aramco messi insieme. Nel 2021 il gruppo russo ha consegnato 540 miliardi di metri cubi del prodotto; 331 miliardi sono andati al consumo interno, 168 hanno preso la strada dell’Europa e 10 soltanto quella della Cina (Wilson, 2022).

Messa così la “liberazione” dal gas russo sembra quasi impossibile…
Per liberarsi dal gas russo bisognerebbe o trovare altri fornitori, o ridurre i consumi, o avviare delle fonti alternative. La seconda e la terza opzione richiedono ovviamente del tempo, misurabile per lo meno in alcuni anni, mentre comporterebbero anche la necessità di molti investimenti. Vediamo meglio la prima alternativa. Intanto ci sono da segnalare febbrili viaggi da parte di delegazioni dei paesi occidentali verso i paesi produttori alla ricerca dell’agognato prodotto. Ma i risultati per ora non sembrano aver dato grandi risultati.

I soliti maligni indicano negli interessi americani a subentrare alla Russia come fornitore di gas uno dei motivi che stanno dietro l’attuale conflitto. Gli Usa e i paesi occidentali possono sostituire la Russia?
La Norvegia è il nostro secondo fornitore dopo la Russia, ma le sue riserve non sono più quantitativamente quelle di una volta; comunque, essa ha subito promesso, per aiutare i paesi della Ue, di aumentare la produzione di 1,4 miliardi di metri cubi all’anno a partire dall’ottobre 2021, una cifra sostanzialmente nulla, persino minore dell’incremento di produzione che il nostro ministro alla cosiddetta tTransizione ecologica promette di estrarre dal mare Adriatico. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Il presidente Biden ha promesso di fornire alla Ue 15 miliardi di metri cubi supplementari di Lng (gas naturale liquefatto, ndr) all’anno, pari al 10% delle importazioni di gas russo nel 2021, sin da subito, mentre parla di 50 miliardi di metri cubi a partire dal 2030.

Ma gli esperti sembrano mostrare in proposito grande scetticismo...
Gli Usa hanno già il 100% della capacità degli impianti di liquefazione del gas utilizzata e non c’è praticamente niente di più da esportare nel breve termine. Per cambiare in maniera sostanziale la situazione occorrerebbero da 4 a 5 anni e investimenti per decine di miliardi di dollari (35 miliardi, secondo una stima riportata dall’Economist). Da parte sua l’Europa dovrebbe aumentare di molto le sue infrastrutture per accogliere gas americano. Solo Spagna e Francia hanno dei terminali adeguati, ma essi non servono per coprire i fabbisogni della parte Est del continente, Germania compresa. Quest’ultima non ha terminali e occorrerebbero diversi anni per metterli in piedi.

E il gas degli altri paesi?
Per quanto riguarda l’Algeria, bisogna intanto considerare che si tratta di una fonte che minaccia di esaurirsi nel giro di pochi anni. A parte questo vanno anche ricordati i legami economici e politici tra l’Algeria e la stessa Russia. Il paese africano si è astenuto all’Onu sulla risoluzione che condannava l’invasione russa; esso non dimentica il sostegno ricevuto al momento della lotta per l’indipendenza. Ricordo anche che le forniture all’Ue da parte di tale paese si sono ridotte di quasi un terzo tra il 2007-2008 e il 2021 e che nell’immediato le possibilità di un loro aumento sarebbero limitate.

C'è anche il Qatar...
Il paese è alleato degli Usa e possiede le terze riserve di gas al mondo, ma circa il 90% della sua produzione è vincolata da contratti di lungo termine, stipulati principalmente con diversi paesi asiatici e che non possono essere cambiati.  Con il Qatar il margine di manovra può riguardare comunque al massimo, al momento, soltanto il 10% libero da contratti di lungo periodo. Resterebbe infine l’Iran, che possiede potenzialmente grandi riserve di gas, ma per arrivare a esportarlo sarebbero necessari, oltre alla caduta delle sanzioni, ancora grandi investimenti che richiederebbero come al solito almeno qualche anno per essere portati a compimento. 

Quali possono essere dunque le conclusioni almeno provvisorie di questi ragionamenti?
Potremmo dire intanto che per liberarci dalla dipendenza dal gas russo ci vorrà tempo e la verifica della disponibilità dei vari attori coinvolti. Per altro verso, può anche succedere che i rapporti con la Russia con il tempo migliorino, ma comunque nel frattempo essa avrà trovato altri clienti. E così è da poco che è stato varato un progetto per portare il gas dei giacimenti che forniscono l’Ue sino alla Cina, progetto che richiederà peraltro alcuni anni per essere completato. Voglio anche sottolineare il fatto che ci sono altri problemi aperti: se la Germania volesse chiudere, come sarebbe auspicabile e come alla fine dovrà fare, sia le centrali a carbone che quelle nucleari, dovrebbe sostanzialmente raddoppiare, almeno temporaneamente, i suoi fabbisogni di gas. Un altro dato per completare il quadro: nei primi due mesi del 2022 la Russia ha incassato con le sue esportazioni di gas verso la Ue altrettanti dollari che in tutto il 2020.