“Tutti noi che conosciamo il Che sappiamo che non c’è modo di catturarlo vivo, a meno che non sia incosciente, a meno che non sia messo completamente fuori combattimento da qualche ferita, a meno che non gli si rompa l’arma, infine a meno che non abbia nessuna possibilità di evitare di finire prigioniero togliendosi la vita”, con queste parole, il 15 ottobre 1967, il líder máximo Fidel Castro raccontava la fine dell’eroe della rivoluzione cubana. Ma chi era il Che?

Dopo la laurea in medicina, nel 1953 l’argentino Ernesto Guevara decide di intraprendere un viaggio attraverso i diversi Paesi dell’America Latina. Il 10 marzo del 1952, con l’appoggio delle lobby dello zucchero e con il beneplacito di Washington, il sergente Fulgencio Batista instaura la dittatura nell’isola di Cuba con un colpo di Stato. Il 26 luglio dell’anno successivo, uno studente universitario - Fidel Castro - guiderà in opposizione al regime, insieme al fratello Raul ed alla testa di un centinaio di studenti, l’assalto alla caserma Moncada. L’attacco fallisce ed i suoi esecutori vengono torturati, imprigionati, uccisi.

Condannato a 15 anni e rilasciato nel maggio 1955 grazie a un'amnistia generale, Castro andrà in esilio in Messico e negli Stati Uniti. A Città del Messico Fidel conosce un giovane medico argentino, Ernesto Guevara de la Serna, idealista rivoluzionario che si appassionerà moltissimo alla vicenda cubana tanto da aderire al Movimento 26 luglio. Nella notte di Capodanno del 1959 i rivoluzionari liberano L’Avana costringendo alla fuga Batista e i suoi seguaci. Un mese dopo Fidel Castro viene nominato primo ministro.

Il Che ha una posizione di primissimo piano nel gruppo dirigente rivoluzionario: prima presidente del Banco nacional (1959), poi ministro dell’Industria (1961), compie numerosi viaggi in Africa e in America Latina e diventa il simbolo della rivoluzione cubana nel mondo.

Dopo un lungo viaggio in Africa, nel marzo 1965 fa ritorno all’Avana e si dimette da tutte le cariche istituzionali (“Quando si unì a noi in Messico - ricorderà lo stesso Fidel - pose solo una condizione: ‘L'unica cosa che voglio quando la rivoluzione avrà trionfato e io me ne vorrò andare a combattere in Argentina è che non mi si precluda questa possibilità. Che non ci sia ragion di Stato a impedirmelo’. Io glielo promisi. Nessuno sapeva, all’epoca, se avremmo vinto la guerra e chi sarebbe rimasto vivo”).

Scrive ai genitori: “Riprendo la strada, scudo al braccio (…) . Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che vogliono liberarsi”. E si congeda anche da Fidel con una lunga lettera che conclude così:  "Avrei molte cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che le parole non sono necessarie e che non possono esprimere quello che io vorrei dire; non vale la pena di consumare altri fogli. Fino alla vittoria sempre. Patria o Morte”.

Negli ultimi mesi del 1966 Ernesto Che Guevara è in Bolivia per organizzare un’insurrezione popolare ma nell’ottobre del 1967 viene catturato e ucciso. Morirà l’indomani della sua cattura, lunedì 9 ottobre.

Ucciso Che Guevara?, titolerà l’Unità il giorno seguente scrivendo:

Secondo un dispaccio diramato a tarda notte dall’agenzia americana A P, Ernesto Che Guevara sarebbe rimasto ucciso ieri in uno scontro tra guerriglieri e reparti fascisti boliviani. La notizia viene ripresa dalla stampa boliviana la quale riferisce che un violento scontro sarebbe avvenuto ieri a sei chilometri a nord- ovest di Higueras. I guerriglieri hanno opposto disperata resistenza subendo cinque perdite. Tra queste presumibilmente Ernesto Che Guevara. Sempre secondo l’agenzia americana, il colonnello Zenteno Anaya, che comanda i reparti fascisti di repressione in quella zona, avrebbe fatto sapere ai giornali che il cadavere di Guevara sarà trasportato a mezzo di un elicottero a Camiri. Non è la prima volta che Guevara viene dato per morto dai vari governi dittatoriali del centro America. Nel 1965 circolò la notizia che Guevara fosse stato ucciso dai fascisti dominicani. Lo stesso anno fu annunciato che era stato catturato nel Perù. Pochi giorni fa di nuovo erano gli stessi fascisti boliviani ad annunciarne la uccisione.

Nell’ottobre del 1967, però, il Che muore davvero. Muore l’uomo, nasce il mito. “Perché pensano che uccidendolo avrebbe cessato di esistere come combattente?  - dirà Fidel - Oggi è in ogni luogo, ovunque ci sia una giusta causa da difendere. Il suo marchio indelebile è ormai nella storia e il suo sguardo luminoso di un profeta è diventato un simbolo per tutti i poveri di questo mondo”.

“Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto - scriveva Ernesto ai suoi figli - e mai leggerete questa lettera, sarà perché non sono più con voi. Non vi ricorderete quasi più di me, e i più piccoli non mi ricorderanno affatto. Vostro padre è stato un uomo che si è comportato secondo il suo credo, ed è stato pienamente fedele alle sue convinzioni. Crescete da bravi rivoluzionari. Studiate tanto e imparate a usare la tecnologia, che ci permette di dominare la natura. Ricordatevi che la rivoluzione è quello che conta, e che ognuno di noi, da solo, non conta niente. Ma più di ogni cosa, imparate a sentire profondamente tutte le ingiustizie compiute contro chiunque, in qualunque posto al mondo. Questa è la qualità più importante di un rivoluzionario”.