L'ennesima occasione mancata. E' questa l'impressione prodotta dal Consiglio straordinario degli affari interni dell’Unione europea dedicato alla crisi in Afghanistan che si è svolto il 31 agosto a Bruxelles. Di fronte a una crisi umanitaria devastante, l'Unione non è riuscita a far altro che produrre una dichiarazione comune attraverso la quale gli Stati membri confermano il sostegno agli afghani vulnerabili e s'impegnano a impedire movimenti migratori illegali, proteggendo così le sue frontiere esterne. E scaricando di fatto il peso dell'esodo dei profughi afghani sui paesi confinanti, riproponendo la retorica dei confini sotto attacco e di risposte esclusivamente emergenziali.

Un esito che risuona ancor più forte, a ridosso delle celebrazioni del Manifesto di Ventotene, occasione in cui il presidente Mattarella aveva dichiarato: “In questi giorni una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po’ qua e là in Europa. Esprimono grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma ‘che restino lì’, ‘non vengano qui perché non li accoglieremmo'”.

L'Unione europea, in sostanza, non solo dimostra di non avere una voce forte e comune sulla scena internazionale, ma si mostra anche del tutto sorda all'appello che nelle scorse settimane avevano lanciato molte associazioni, tra le quali Amnesty International, Action Aid, Libera, Oxfam, Rete Italiana Pace e Disarmo, Save the Children, ma anche la Cgil, per avere corridoi umanitari “non solo per chi abbia collaborato con militari, diplomatici italiani”, ma “per chiunque si trovi in condizioni di vulnerabilità, garantendo loro sicurezza e incolumità, anche su suolo italiano”.

La montagna, insomma, ha partorito un topolino. Ne ha preso atto anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che durante i Forum strategico, iniziato l'indomani sul Lago di Bled, ha affermato: “Siamo rimasti molto delusi dalle conclusioni del Consiglio. Abbiamo visto Paesi fuori dall’Unione farsi avanti per offrire accoglienza, ma non abbiamo visto un solo Paese membro fare altrettanto”. E ancora: “Nessuno ha avuto il coraggio di offrire rifugio a coloro che sono ancora oggi in pericolo di vita. Non possiamo fare finta che la questione afghana non ci riguardi, perché abbiamo partecipato a quella missione condividendone gli obiettivi e le finalità”.

“Quelle conclusioni sono inaccettabili - ha commentato il segretario confederale della Cgil Giuseppe Massafra - perché scaricano le responsabilità sui paesi limitrofi e confermano che l’obiettivo principale dell'Ue resta la protezione dei propri confini esterni”. Per il sindacato di Corso d'Italia c'è invece bisogno di intervenire subito, e mettere in campo “un vasto programma di trasferimenti e ricollocamenti dei migranti, anche nei paesi di transito”. Anche perché molte delle persone in fuga verso l’Europa “si trovano oggi in Turchia, sulla rotta balcanica e in altri Paesi extra Ue, che non possono certo essere considerati luoghi sicuri e in grado di offrire asilo. La politica di esternalizzazione delle frontiere, tra l'altro, si concretizza sempre nella remunerazione di  stati totalitari, che poi si servono dei migranti come strumento di ricatto per perseguire i propri interessi. Come ad esempio è successo in Libia e in Turchia in passato”.

I rimpatri di cittadini afghani in questi Paesi o negli stati confinanti con l’Afghanistan, quindi, sono da escludere, mentre l'Unione europea deve intervenire in maniera diretta. Conclude Massafra: “Serve un intervento straordinario, che permetta a tutti coloro che sono in esodo di muoversi in sicurezza e legalmente, con particolare attenzione alla Grecia, dove si trovano attualmente fermi migliaia di cittadini in condizioni precarie. La situazione dei profughi afghani, infatti, richiede un'urgente azione straordinaria, all’altezza della tragedia a cui stiamo assistendo. Ma il problema dei flussi migratori verso il nostro continente resta sempre lo stesso, e riguarda tutti coloro che si trovano in fuga da luoghi che non assicurano diritti, sicurezza e libertà. Costruire politiche europee, insomma, significa adottare scelte strutturali e durature. E' un nostro dovere.”