Il 19 agosto scorso, con l'ingresso indisturbato dei talebani a Kabul, il mondo intero s'è accorto di colpo che c'era del marcio in Afghanistan. La notizia, dopo 20 anni di presenza militare della Nato, ha fatto il giro del mondo, insieme alle drammatiche immagini di neonati passati ai militari americani oltre il filo spinato, dei corpi che cadevano a peso morto dai carrelli degli aerei in decollo, delle vittime dell'attentato suicida all'aeroporto. Su giornali, sui siti d'informazione e nei talk show televisivi, da quel giorno, non si parla d'altro. L'escalation militare talebana, insomma, è andata di pari passo con quella informativa globale. E se, in un primo momento, sotto i riflettori sono finiti soprattutto i diplomatici e i civili stranieri che prendevano d'assalto lo scalo della capitale, poi è stata la volta dei traboccanti ponti aerei messi in atto per l'evacuazione dei collaboratori afghani. Subito dopo, però, s'è iniziato a parlare di profughi, di accoglienza e di difesa dei diritti umani. Insomma, di quello che oggi appare come il problema più vivo: come aiutare chi scappa dal rinato Emirato islamico.

Una crisi umanitaria permanente

Squadernando i giornali e facendo zapping tra i canali televisivi, però, si ha come l'impressione che il dramma della popolazione afghana sia una sorta di novità, una storia iniziata questa estate, proprio durante la settimana di Ferragosto. Eppure la crisi che l'Afghanistan sta vivendo oggi ha radici molto più profonde. Anche se nell'ultimo anno e mezzo ha visto un'accelerazione decisa. Lo conferma l'incrocio di una selva di dati forniti da vari istituti di ricerca internazionali e dalle Ong attive da anni sul territorio. Numeri che permettono di ricostruire, passo dopo passo, le varie fasi di una crisi umanitaria permanente, che va ormai avanti da oltre 40 anni.

Un anno vissuto pericolosamente

Il domino che ha portato alla caduta di Kabul ha avuto inizio con l’accordo tra Stati Uniti e talebani, siglato a Doha nel febbraio 2020 in vista della proposta di ritiro delle truppe americane, e ha rimandato la questione ai tavoli tra governo afghano e rappresentanti dei ribelli. Lo scorso settembre sono quindi iniziati i cosiddetti “colloqui intra-afghani”. Ma a dicembre s'è raggiunto un accordo esclusivamente sulle regole procedurali per avviare i veri e propri negoziati. Nonostante questo, durante l’intero anno il conflitto ha continuato a mietere vittime tra i civili e a far crescere il numero di sfollati interni.

Fonte: UN Assistance Mission in Afghanistan – Unama

Stando a quanto riportato dalla Missione di assistenza delle Nazioni unite in Afghanistan (UN Assistance Mission in Afghanistan – Unama) tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2021, quindi prima degli scontri più recenti, sono state censite 5.183 vittime civili (1.659 uccisi e 3.524 feriti), fra i quali un numero altissimo di ragazze, donne e bambini. Il numero totale di civili uccisi e feriti è aumentato addirittura del 47% rispetto alla prima metà del 2020, invertendo la tendenza degli ultimi quattro anni. Rispetto ai primi sei mesi del 2020, il numero di bambine e donne uccise o ferite è pressoché raddoppiato.

“I diversi gruppi armati sono stati collettivamente responsabili del deliberato attacco e dell’uccisione di civili, tra cui insegnanti, operatori sanitari, operatori umanitari, giudici, leader tribali e religiosi e dipendenti statali. Gli attacchi si sono manifestati in aperta violazione del diritto internazionale umanitario, prendendo deliberatamente di mira persone e obiettivi civili”, ha recentemente commentato Amnesty International. Gli ultimi giorni hanno poi visto un’escalation mortale dei combattimenti nelle province afghane, che aggrava ulteriormente la situazione.

Uno afghano su due è in difficoltà

La violenza dell'ultimo anno, però, non ha fatto altro che aggravare ulteriormente una situazione già critica per i civili, che vivono in stato di necessità da anni. Secondo l'ultimo rapporto (dicembre 2020) redatto dall'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Un-Ocha), su una popolazione totale di circa 40 milioni di persone quasi la metà, 18 milioni e mezzo, hanno difficoltà di accesso ad acqua, cibo, istruzione e cure mediche. Anche in questo caso, più della metà sono bambini.

Fonte: UN-OCHA, Office for the Coordination of Humanitarian Affairs

Sempre stando all'Un-Ocha, poi, il problema degli sfollati interni resta spaventoso. Dall’inizio di maggio più di 400.000 persone sono state registrate come nuovi sfollati a causa dell’intensificarsi dei combattimenti in tutto il Paese. Quasi il 60% di chi è stato costretto a lasciare la propria casa quest’anno è un bambino. In totale nel 2021 sono stati sfollati quasi 550.000 afghani.

Fonte: UN-OCHA, Office for the Coordination of Humanitarian Affairs

Stato di guerra

Il 2021 della popolazione afghana, però, non è che l'ultimo anno terribile di una lunga serie. Per l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), erano 2,9 milioni le persone già sfollate all’interno del Paese e che vivevano in condizioni al limite della sopravvivenza. Secondo l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) sarebbero invece oltre 5 milioni. Un numero, in ogni caso, destinato ad aumentare con la crisi attuale. “Si stima che un milione di bambini soffriranno di malnutrizione acuta grave quest’anno e, senza cure, potrebbero morire. 4,2 milioni di bambini non vanno a scuola, tra questi oltre 2,2 milioni di bambine. Da gennaio, le Nazioni unite hanno registrato oltre 2.000 violazioni gravi dei diritti dei bambini”, ha detto Henrietta Fore, Direttore Generale dell'Unicef. Il ritorno al potere dei talebani, infatti, rischia anche di bloccare il lavoro ormai lungo decenni di numerose organizzazioni non governative italiane e di altri Paesi attive nel settore della cooperazione.

278.873 civili uccisi dal 1989

Sul fronte degli scontri e delle vittime civili della guerra, fanno invece testo i dati forniti dall'Uppsala conflict data program, un istituto di ricerca svedese che raccoglie cifre da fonti d'informazione autorevoli (Bbc, Reuters, operatori sul campo…). Dal 1989, anno in cui dopo un decennio l'Unione sovietica abbandonò il Paese lasciandolo in una situazione non molto diversa da quella attuale, ben 278.873 civili sono stati uccisi. L'escalation di morte ha però avuto un'accelerazione decisa proprio a partire dal 2014, quando s'è conclusa la missione “Enduring freedom” ed è iniziata la "Resolute Support", il piano di supporto alle istituzioni, alle popolazioni e alle forze armate afghane. Da allora a oggi, le vittime civili sono state oltre 184.000. Il picco si è registrato nel 2019, con più di 30.000 morti. Lo scorso anno c'è stata una lieve frenata (20.836) grazie agli accordi di Doha, ma le previsioni per il 2021 sono assolutamente pessimistiche. E i morti del 26 agosto all'aeroporto di Kabul fanno lievitare le cifre.

Fonte: Humanitarian Data Exchange

Gli scontri in atto in questi anni, tra l'altro, riguardano l'intero Paese. Ma se tra il 1994 e il 1996, con i Talebani che conquistavano per la prima volta Kabul, il conflitto restava concentrato soprattutto intorno alla capitale, nell’est del Paese, dal 2003 le truppe alleate hanno iniziato a operare altrove. E la guerra si è spostata in aree più periferiche. Gli italiani, ad esempio, erano stanziati ad Herat, a ovest. Questo allargamento ha contribuito a rendere la violenza una condizione endemica e in continua crescita, fino a oggi.

Fonte: Uppsala conflict data program

La crescita delle vittime civili in Afghanistan negli ultimi anni discende da un numero maggiore di attacchi perpetrati da Talebani e terroristi della galassia Isis ma rimangono alti anche i numeri derivanti dai bombardamenti attuati da Stati Uniti e coalizione internazionale. Secondo Francesco Vignarca, della Rete Pace e Disarmo, "dal 2016 in poi la strategia di Usa e alleati si è concentrata su bombardamenti aerei. Dal 2016 al 2020 tali attacchi hanno provocato quasi 4.000 vittime civili (2.122 morti, 1.855 feriti) con il 40% di esse rappresentato da bambini. Le vittime degli attacchi aerei internazionali siano più che triplicate tra il 2017 e il 2019, anni in cui gli Stati Uniti hanno sganciato più bombe su Afghanistan che all'apice della loro presenza nel 2011 Più di 20 al giorno."

Non a Lampedusa

Una situazione esplosiva, insomma, che non poteva non determinare un effetto diretto sul piano delle migrazioni. E' ciò di cui molto si discute in Italia in questi giorni, temendo una nuova emorragia di profughi e una crisi di come quella che si visse dopo le primavere arabe del 2015. Anche in questo caso, ci vengono in aiuto i numeri. Gli ingressi nel nostro Paese di richiedenti asilo afghani, negli ultimi anni, sono stati molti limitati. Dal 2009, l’agenzia europea per le frontiere Frontex ha censito poco meno di 500mila persone in arrivo dall’Afghanistan. Pochissimi di loro sono però sbarcati a Lampedusa. La maggior parte ha infatti solcato la rotta del Mediterraneo orientale (387.780), cercando di approdare in Turchia e Grecia. Un'altra buona parte è passata per i Balcani (96.722), mentre solo 10.127 in 12 anni sono arrivati attraverso il Mediterraneo centrale.

Fonte: Frontex

Il picco di migranti afghani censiti dall’agenzia è stato raggiunto nell'ottobre 2015. Allora Frontex registrò 66mila arrivi in Europa. Da quel momento, i flussi sono rimasti più o meno stabili fino a un nuovo picco nell’autunno 2019, mentre l’Afghanistan precipitava nel caos che l’ha condotto ai fatti degli ultimi giorni.

“Corridoi umanitari per tutti i vulnerabili”

Dati alla mano, insomma, la crisi bellica e umanitaria in Afghanistan mostra le sue radici più profonde, che affondano in decenni di violenza e distruzione, e che l'occupazione Nato non è riuscita in alcun modo a frenare. Cifre e mappe sui conflitti dal 1989 ad oggi evidenziano quindi responsabilità, strategie e conseguenze che hanno riportato oggi al potere i talebani e causato l'instabilità attuale. Il cambio al vertice dei giorni scorsi, non può che peggiorare le cose. Soprattutto per le donne e per i bambini. Per questo molte associazioni, tra le quali Amnesty International, Action Aid, Libera, Oxfam, Rete Italiana Pace e Disarmo, Save the Children, ma anche la Cgil, hanno firmato un appello al governo italiano, affinché assicuri corridoi umanitari “non solo per chi abbia collaborato con militari, diplomatici italiani”, ma “per chiunque si trovi in condizioni di vulnerabilità, garantendo loro sicurezza e incolumità, anche su suolo italiano”. L'obiettivo è che alle frontiere italiane “venga garantito il diritto di asilo e il pieno accesso alle procedure per la sua richiesta e che si monitori affinché non avvengano respingimenti”.

Popolazione di rifugiati per paese o territorio d'origine - 1965/2020

Fonte: elaborazione Statistics and Data su dati Banca Mondiale