Il 5 aprile 1927 anche la Corte Suprema del Massachusetts nega la revisione della sentenza espressa contro Sacco e Vanzetti. È la condanna definitiva. Scrive il console italiano a Boston Ferrante a Mussolini il giorno successivo:

Con rigetto da parte della Corte Suprema domanda di un nuovo processo, ricorso giudiziario in questo Stato trovasi esaurito. Rimane ancora possibile appello alla Corte Federale di Washington con esito a mio modo di vedere quasi certamente contrario agli imputati. Unica speranza salvezza dalla sedia elettrica risiede nella domanda di grazia fatta al Governatore Massachusetts. Ma per i motivi più volte da me specificati ritengo improbabile accoglimento tale domanda. Unica persona che potrebbe esercitare influenza su Governatore Fuller sarebbe forse Presidente Stati Uniti ma ciò in via assolutamente riservata e personale giacché qualsiasi intromissione autorità federali in questioni prettamente statali produce effetto contrario. Dal canto mio ogni cosa sarà tentata all'intento salvare vita nostri due connazionali”

Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sono stati due attivisti e anarchici italiani, militanti radicali e promotori negli Stati Uniti degli anni Venti di scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra. Pugliese il primo e piemontese il secondo emigrarono negli Stati Uniti nel 1908 facendo i mestieri più disparati come consuetudine in quegli anni per gli immigrati, (alla fine Sacco calzolaio e Vanzetti pescivendolo).

Arrestati, processati e condannati a morte con l’accusa di omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill di South Braintree saranno  giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nonostante i molteplici dubbi sulla loro colpevolezza e la confessione del detenuto portoghese Celestino Madeiros che li scagionava.

“Io non augurerei a un cane o a un serpente - dirà Vanzetti rivolgendosi per l’ultima volta al giudice - alla più bassa e disgraziata creatura della Terra. Non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano (…) se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”.

Il caso di Sacco e Vanzetti scuoterà molto l’opinione pubblica italiana e anche il governo fascista prenderà posizione a sostegno dei due connazionali, nonostante le loro idee politiche.

“Nel caso di Sacco e Vanzetti - scriveva sul New York Times nell’agosto del 2007 Andrea Camilleri -  sembrò subito chiaro a molti, in Europa e negli Stati Uniti, che il loro arresto, nel 1920 - inizialmente per possesso di armi e materiale sovversivo, poi con l’accusa di duplice omicidio commesso nel corso di una rapina nel Massachusetts - i tre processi che seguirono e le successive condanne a morte erano pensati per dare, attraverso di loro, un esempio. E questo nonostante la completa mancanza di prove a loro carico, e a dispetto della testimonianza a loro favore di un uomo che aveva preso parte alla rapina e che disse di non aver mai visto i due italiani.  La percezione era che Sacco, un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero le vittime di un’ondata repressiva che stava investendo l’America di Woodrow Wilson. In Italia, comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono come funghi non appena essa fu annunciata. Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici. Eppure, quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati, il più grande quotidiano italiano, il Corriere della sera, non esitò a dedicare alla notizia un titolo a sei colonne. In bella evidenza tra occhielli e sottotitoli campeggiava un’affermazione: Erano innocenti"..

Molti famosi intellettuali, tra i quali anche Albert Einstein, prenderanno pubblicamente posizione in favore di Nick e Bart ma sarà tutto inutile. Il 23 agosto 1927 alle ore 00:19, dopo sette anni di udienze, i due saranno uccisi sulla sedia elettrica a distanza di sette minuti l’uno dall’altro.

“Ricordati sempre, Dante - scriveva poco prima di morire Nicola Sacco al figlio - della felicità dei giochi non usarla tutta per te, ma conservane solo una parte (...) aiuta i deboli che gridano per avere un aiuto, aiuta i perseguitati e le vittime, perché questi sono i tuoi migliori amici; son tutti i compagni che combattono e cadono come tuo padre e Bartolo, che ieri combatté e cadde per la conquista della gioia e della libertà per tutti e per i poveri lavoratori (…) Sì, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre idee, che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire”.

“Mai, vivendo l’intera esistenza, avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini”, dirà Vanzetti, alla giuria che lo condanna. Ma la storia darà loro ragione.

Nel 1977 il governatore del Massachusetts, Michael s. Dukakis, riabiliterà le loro figure scrivendo nel documento che proclamerà per il 23 agosto di ogni anno il S.&V. Memorial Day che “il processo e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti devono ricordarci sempre che tutti i cittadini dovrebbero stare in guardia contro i propri pregiudizi, l’intolleranza verso le idee non ortodosse, con l’impegno di difendere sempre i diritti delle persone che consideriamo straniere per il rispetto dell’uomo e della verità”. Oggi come ieri.