Il veto ungherese - insieme a quello polacco - all’approvazione del bilancio Ue per il 2021-2027, comprendente anche i 750 miliardi di Recovery Fund, è stato giudicato negativamente da una parte tutt’altro che inconsistente del paese. La notizia del veto, peraltro ampiamente annunciato, ha subito avuto come risposta una petizione supportata da un documento firmato dai leader dei principali partiti dell’opposizione. Tra essi anche Jobbik che da posizioni di destra oggi a quanto pare moderate, chissà se per calcolo o per convinzione, avversa la forza politica di governo. Una cosa che a dire il vero fa da anni. Il documento si premura di sottolineare alle istituzioni europee e agli altri stati membri che il governo Orbán non è rappresentativo di tutta l’Ungheria e che la scelta dell’esecutivo danneggia tutti i cittadini del paese oltre che gli altri cittadini dell’Ue. Fatto circolare sui social, il documento recita: “In qualità di presidenti dei partiti dell'opposizione ungherese, ci sentiamo uniti nel solco dei valori democratici, dello Stato di diritto e del rispetto dei valori europei. I nostri valori comuni ci obbligano a lavorare insieme per far rispettare lo Stato di diritto nel nostro paese il prima possibile”. E ancora: “In questa grave situazione causata dall'epidemia e dalla crisi economica, anche i cittadini ungheresi e le loro attività imprenditoriali hanno bisogno del sostegno dell'Unione europea. Questi aiuti (i fondi previsti nell’ambito del Recovery Fund, ndr) non appartengono al governo Orbán, che antepone i suoi interessi di potere a quelli economici del paese, ma al popolo ungherese”.

C’è quindi apprensione per la sorte di questi aiuti ed è comprensibile. L’economia ungherese deve molto ai fondi dell’Ue, quegli stessi fondi che per molti connazionali di Orbán vanno visti nell’ambito di una condivisione di valori, mentre per il premier e i suoi collaboratori e sostenitori sono dovuti, dato che l’Ungheria è stato membro dell’Ue e non vanno subordinati ad alcuna condizionalità. Non a suo parere, al rispetto dello Stato di diritto che secondo il leader danubiano gode di buona salute in Ungheria. Di fatto, molti aspetti lo smentiscono.

Anche in Ungheria l’emergenza sanitaria ha evidenziato gli squilibri sociali che si sono palesati, tra l’altro, nel diverso modo, da famiglia a famiglia, di vivere l’isolamento. Non tutti, infatti hanno avuto pari possibilità di lavorare o studiare a distanza e osservazioni compiute la scorsa primavera da Ong operanti in ambito sociale hanno messo in luce il fatto che i bambini sono stati la componente più svantaggiata della crisi.

Con la pandemia l’imposta sui contributi sociali è stata ridotta del 2%, ma va detto che il livello di crescita dei salari reali nel primo trimestre del 2020 non ha raggiunto il 6% fissato come condizione per i tagli in materia fiscale. Le parti interessate dovranno decidere in merito al livello degli oneri sociali per l’anno prossimo, cosa che dovrebbe incidere sulla posizione contrattuale dei datori di lavoro i quali, data la situazione pandemica, sperano in una nuova riduzione anche se la crescita dei salari resterà, secondo gli esperti, al di sotto del 6%. Del resto l’Ungheria è tra i paesi dell’Ue con i più bassi livelli di retribuzione.

Per una decisione sul livello del salario minimo (161.000 fiorini, poco più di 441 euro al cambio attuale, fonte: berbarometer.hu) e di quello minimo garantito, relativamente al 2021 si dovrà forse aspettare fino alla fine dell’anno, anche perché le parti non sembrano vicine ad un accordo. Del resto nessun governo ungherese, nemmeno quelli liberalsocialisti, ha mai brillato per dialogo con le parti sociali. I sindacati si trovano sempre in una sorta di limbo che li vede tuttora privi di una fattiva collaborazione da parte dei lavoratori dipendenti. I problemi, insomma, non mancano in Ungheria, come dappertutto, a maggior ragione in questo momento di grave crisi sanitaria, sociale ed economica dovuta al Covid-19.

Intanto il paese vede peggiorata considerevolmente la situazione dei contagi rispetto alla primavera scorsa. Il ritmo dei contagi giornalieri è sempre alto, troppo considerando che la popolazione totale non arriva a 10 milioni di abitanti. Gli ospedali sono sotto pressione, i letti non bastano né appare sufficiente il numero di medici e di personale ospedaliero in generale. Così gli addetti al settore temono un collasso a breve del sistema sanitario già duramente provato dalle menzionate carenze strutturali e di personale. Questa situazione ha portato anche dentisti e psichiatri ad attivarsi nei reparti di terapia intensiva. Le misure prese dal governo guidato da Viktor Orbán per arginare la diffusione del virus sono considerate da molti insufficienti. L’esecutivo infatti non ha dato luogo ad una politica di chiusura di esercizi commerciali e delle scuole argomentando che “l’economia non può essere fermata” e che “il paese deve andare avanti”.