Stoccolma ha deciso: ha insignito del premio forse più prestigioso, quello per l’economia, a una donna Claudia Goldin e la motivazione del riconoscimento è ancor più carica di valore: “Per aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”. Non solo, si legge ancora: “La sua ricerca storica che abbraccia un periodo di duecento anni fino ai giorni nostri – aggiunge l’Accademia – analizza sia il cambiamento sia i motivi che sono alla base del persistente gender gap”.

Per l’Accademia delle Scienze di Stoccolma, dunque, le diseguaglianze di genere, non solo esistevano, ma continuano a esistere e oltre che rappresentare una limitazione della libertà e dell’autonomia delle donne, creano anche problemi seri all’economia. La professoressa Goldin, che insegna all’università di Harvard, ha impiegato tutta la sua attività di ricerca a indagare la condizione femminile nel mondo del lavoro, convinta – e lo ha dimostrato – che queste discriminazioni siano alla base delle diseguaglianze che attraversano le società occidentali.

Ciò che penalizza le donne

Tra i fattori che nella sua ricerca storico economica la Goldin individua essere alla base del gender gap ne esiste oggi una in particolare: la maternità. Le donne sono meno occupate e quando lavorano non fanno carriera e guadagnano meno degli uomini non perché siano meno brave o studiano materie non funzionali all’occupabilità. Tutt’altro sono mediamente più istruite e più brave ma fanno figli e si occupano di loro.

“Gli studi e le conclusioni a cui arriva l’economista statunitense suffragano scientificamente quanto da tempo affermiamo. Certo la nostra società è ancora impregnata di stereotipi ma l'elemento che rende difficile alle donne la piena partecipazione al mondo del lavoro sono ancora le discriminazioni che accompagnano la maternità”. Questo il commento di Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil appena appresa la notizia arrivata dalla capitale della Svezia.

Le politiche che servono

Alcune riflessioni sono obbligate. Essendo l’Italia assai indietro nelle classifiche che misurano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, non solo per quel che riguarda l’occupazione, ma anche per la progressione di carriera e il differenziale salariale, sarebbe importante che il Governo facesse almeno rispettare la clausola che prevede di riservare almeno il 30% dei posti di lavoro che si generano con i progetti del Pnrr alle donne; o, ancora, che provvedesse ad un piano straordinario di assunzioni nei servizi pubblici che avrebbe il doppio effetto di far aumentare l’occupazione femminile e di liberare tempo delle donne dal lavoro di cura gratuito (nei confronti dei figli e degli anziani) da poter utilizzare per quello di mercato. Ma sembra davvero che nonostante a Palazzo Chigi sieda una donna, il modello caro al centro-destra sia quello delle donne impegnate prevalentemente nell’accudimento della famiglia.

Sostiene la Cgil

Aggiunge infatti la segretaria confederale: “Sono necessarie, quindi, politiche e strumenti in grado di assumere il valore sociale della maternità, facendo sì che non sia più elemento di discriminazione. Il governo Meloni va esattamente nella direzione opposta. Riduce la spesa per i servizi pubblici, rallenta la costruzione degli asili nido previsti dal Pnnr e non stanzia – nella spesa corrente - le risorse necessarie per farli funzionare. Non c'è poi praticamente nulla per le politiche di condivisione della genitorialità, a cominciare dal rendere obbligatorio il congedo di paternità. Anzi, vogliono introdurre il quoziente familiare, rendendo così non conveniente alle donne lavorare, visto che il secondo salario farebbe salire l’aliquota marginale dell’Irpef”.

Insomma, non è una donna a Palazzo Chigi che fa primavera, anzi rischia di diventare uno schermo dietro il quale promuovere provvedimenti e modelli culturali che fanno arretrare le altre.