Aumentano povertà e divari, la sanità e l’istruzione pubblica non riescono ad adempiere ai compiti che la Costituzione affida loro, eppure la presidente del consiglio Meloni nella prima risposta della conferenza stampa di bilancio del 2023 ha affermato che anche nella legge di bilancio 2025 non aumenterà le tasse e taglierà la spesa pubblica, continuando con la strategia della manovra appena approvata dal Parlamento, rivendicando con orgoglio i tagli lineari appena varati. È proprio questa la scelta che Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore non condivide, preoccupata dell’indebolimento del welfare che inevitabilmente colpisce chi è più fragile.

Qual è la tua valutazione della manovra appena licenziata da Camera e Senato?
La riflessione che possiamo fare è che per accontentare un po’ tutti non si è accontentato nessuno. Mancano le scelte di tipo strutturale di cui, soprattutto, necessitano il welfare e la sanità. Due grandi ambiti che hanno conosciuto un definanziamento e quindi un forte indebolimento, ora bisogna tornare invece a supportarli in maniera molto forte. Così come siamo preoccupati per il mancato finanziamento di due importati riforme che aspettiamo da tempo, quella sulla non autosufficienza e quella sulla disabilità. Riforme che appunto, per essere messe a terra concretamente sui territori così da dare benefici reali a cittadini e cittadine, hanno necessità di ingenti investimenti. Nella manovra, invece, su questo c’è veramente un pessimo assaggio, ponendo fortissimi punti interrogativi sul futuro di queste riforme. In ogni caso, pensiamo che sulle due grandi emergenze, sanitaria e sociale, in legge di Bilancio si faccia troppo poco e soprattutto non ci siano interventi strutturali. Così come, proprio per la logica di accontentare tutti, non sono indicate quale devono essere le priorità per il futuro del Paese.

Le ultime statistiche dell’Istat accertano un aumento della povertà assoluta, 5 milioni e 600mila cittadini si trovano in questa condizione, e aumentano in maniera esponenziale le diseguaglianze la cui riduzione era uno dei grandi obiettivi del Pnrr. Su tutto ciò la manovra come interviene?
Siamo un paese dai divari territoriali - non solo nelle regioni più svantaggiate - molto significativi in campo sanitario e non solo. La finanziaria prevede 50 milioni, cifra del tutto inadeguata, per i passi perequativi che dobbiamo compiere in campo sanitario. La priorità che vediamo è la definizione e il conseguente adeguato finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, indispensabili per affrontare il tema delle diseguaglianze in maniera strutturale. Occorre, infatti, non dimenticare che chi è più povero, chi vive condizioni di debolezza, fragilità e vulnerabilità, ha ancora più bisogno di altri di sanità e welfare pubblico che garantisca almeno l'accesso a condizioni di base. Se noi queste condizioni di base non le abbiamo, a ricaduta vengono colpiti soprattutto i più fragili. Per questo noi del Forum del Terzo Settore abbiamo sottolineato l'inadeguatezza della manovra.

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Vi preoccupa l’eventualità dell’approvazione ed entrata in vigore dell’autonomia differenziata del ministro Calderoli? 
Siamo talmente preoccupati che abbiamo dato vita a un gruppo di lavoro con l’obbiettivo di monitorare le condizioni dell’esigibilità dei diritti sociali regione per regione. Certo che siamo preoccupati. Innanzitutto ci sembra che invece di dividere dobbiamo unire per fare in modo che tutti i cittadini e le cittadine abbiano lo stesso livello di esigibilità dei diritti su tutti i territori. Ci sembra, invece, che l’autonomia differenziata allontani e costruisca disparità e, indubbiamente, lo scotto sarà più alto per quelle regioni che hanno maggiori fragilità e nel tempo hanno stratificato maggiori inefficienze. E, soprattutto, riteniamo che l'autonomia differenziata sia un allontanamento tra politiche pubbliche e cittadini. Mentre non dovremmo pensare a questioni come scuola, sanità, trasporti in una logica di mercato, ma in una logica legata ai diritti come la nostra Costituzione sottolinea. Siamo davvero molto preoccupati, tanto più perché, senza avere i livelli essenziali di prestazione definiti e finanziati, non può esserci autonomia differenziata, sarebbe soltanto un aumentare i divari.

Si è appena celebrato il quarantacinquesimo compleanno dell'introduzione del servizio sanitario nazionale. Questa legge di Bilancio non investe in sanità, anzi. Quali sono le vostre preoccupazioni? 
Ci preoccupa molto il progressivo mettere in difficoltà volontariamente la sanità pubblica per indebolirla e aprire a nuove forme di assistenza, finanziando la sanità privata con fondi pubblici. Pensiamo sia indispensabile un rilancio complessivo e un rafforzamento della sanità pubblica e le forze sociali dovrebbero compattarsi su questo obiettivo. Ci eravamo illusi che il Covid ci avesse lasciato degli insegnamenti, avevamo visto quanto la pandemia avesse squadernato gli elementi di fragilità del sistema sanitario che avevano messo a rischio la salute dei cittadini. Oggi, invece, sembra di essere tornati indietro, la situazione sembra peggiorare, assistiamo a un cinismo nel trattare queste politiche molto più rigido di prima e a pagarne le spese, lo ripeto, sono le categorie più vulnerabili. L'aumento della povertà è anche frutto non solo di una povertà di reddito personale, ma di un impoverimento della ricchezza comune che spinge sempre più le persone ai margini e le esclude da processi di inclusione che dovrebbero essere anche l'obiettivo di politiche pubbliche.

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Quale messaggio vorreste mandare alla presidente del Consiglio, che cosa le vorreste chiedere?
Di fare scelte, di determinare delle priorità. Non piccoli interventi per accontentare singole categorie, ma una politica di priorità e strutturale nell'interesse del Paese. E poi vorremmo non dimenticasse che prima viene il welfare e poi l'economia. Senza un welfare solido, l'economia non ce la fa perché non ha la terra dove affondare le proprie radici. Infine le suggeriremmo di ascoltare e di leggere ciò che accade. Abbiamo molti dati, dai rapporti Censis e Istat a quelli elaborati dalla Caritas e da tante nostre organizzazioni, è utile e necessario utilizzare questo patrimonio di conoscenza per assumere decisioni individuando priorità e abbattendo pregiudizi. Uno dei pregiudizi era il reddito di cittadinanza, ne ha beneficiato qualcuno che non aveva diritto come capita per ogni misura, ma eliminandolo si è tolto sostegno a migliaia di famiglie in difficoltà. Bisogna andare sicuramente a stanare quanti usufruiscono di benefici senza averne diritto, ma è una percentuale minima. Tutti gli altri erano persone che ne avevano pienamente diritto in un periodo in cui anche la classe media sta scivolando verso l'impoverimento. Abolendo il reddito di cittadinanza si è dato ascolto a un pregiudizio e non al cuore del Paese. Mi sembra che oggi si ascoltino i rumori di fondo e non si ascolti veramente quali sono i bisogni reali del Paese.

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