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L’Italia attraversa una fase di intensa trasformazione demografica. Secondo i dati Istat relativi al 2023, il tasso di fecondità nazionale si attesta a 1,25 figli per donna, un valore tra i più bassi d’Europa e ben al di sotto della soglia di sostituzione generazionale (2,1). Nello stesso anno, si sono registrate 379.000 nascite a fronte di oltre 661.000 decessi, con un saldo naturale negativo di circa -282.000 unità.
L’invecchiamento della popolazione è altrettanto evidente: l’età mediana, certifica Eurostat, ha raggiunto i 49 anni, mentre la speranza di vita si attesta intorno agli 84 anni. L’Italia è oggi il secondo paese più anziano al mondo dopo il Giappone. Le conseguenze di queste dinamiche non sono solo demografiche, ma anche economiche e sociali: aumentano i costi della sanità e delle pensioni, mentre si riduce la forza lavoro disponibile.
Alla luce di questi dati, alcuni studi hanno stimato il contributo necessario dell’immigrazione per mantenere sostenibile il sistema socioeconomico. La Fondazione Leone Moressa ha calcolato che, per conservare stabile il rapporto tra popolazione attiva e pensionati, l’Italia avrebbe bisogno di circa 414.000 nuovi immigrati ogni anno nei prossimi decenni. Una soglia ben superiore agli attuali ingressi regolari che, secondo fonti del ministero dell’Interno, si aggirano intorno alle 140.000 unità l’anno.
Oggi, i cittadini stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni, pari all’8,6% della popolazione. Rappresentano oltre il 10% della forza lavoro e sono concentrati in settori fondamentali come l’agricoltura, l’edilizia, la logistica e l’assistenza alla persona. Inoltre, i lavoratori immigrati contribuiscono in modo significativo al finanziamento del sistema pensionistico. Secondo l’Inps, infatti, versano annualmente oltre 11 miliardi di euro in contributi.
Certo l’immigrazione, da sola, non può risolvere il problema demografico, né garantire automaticamente coesione sociale o sviluppo. Gli esperti ripetono da tempo che le politiche migratorie devono essere integrate con interventi di sostegno alla natalità, incentivi al lavoro femminile e al rientro dei giovani emigrati. Tuttavia, in un contesto di calo strutturale della popolazione, il contributo migratorio appare, nel breve-medio termine, uno strumento necessario per compensare almeno parzialmente la diminuzione della popolazione attiva.
Il tema non è dunque se l’Italia voglia o meno l’immigrazione, ma se il sistema-paese sia pronto a governarla in modo efficace, al fine di garantirne un impatto positivo e sostenibile. In assenza di strategie integrate, il rischio, come sottolineano tutti gli indicatori socio-economici, è un progressivo impoverimento economico e demografico.