L’agricoltura, l’alimentazione e l’impegno politico per consentire a tutti di avere cibo a sufficienza erano nel destino di Maurizio Martina, oggi vice direttore generale della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Un percorso chiaro: prima il diploma all’Istituto tecnico agrario di Bergamo, poi la laurea in scienze politiche. La passione per l’impegno civile avrà nell’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino la sua pietra miliare, mentre l’impegno politico lo porterà nel 2014 alla scrivania di ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali dove fu Intensa la lotta al caporalato.

Oggi il suo lavoro è quello di aiutare le comunità agricole locali dei paesi in via di sviluppo a diventare autosufficienti dal punto di vista della produzione alimentare e, nel frattempo, mettere in campo interventi di tipo emergenziale per fronteggiare fame e povertà. Secondo l’ultimo Rapporto Fao sulla fame nel mondo, infatti, nel 2021 l’emergenza alimentare ha colpito quasi 200 milioni di persone in 53 Paesi, ma ora con la guerra il rischio di peggioramento è concreto.

Cinquanta paesi in via di sviluppo ricevevano il 30% del loro grano da Russia e Ucraina e ben ventisei ne erano dipendenti per la metà del loro fabbisogno. Egitto, Libia, Congo, Eritrea e i paesi africani dell’area subsahariana avevano di fatto una dipendenza diretta. Il grano è per il 33% della popolazione mondiale l’alimento base, l’altro è il riso. Se si pensa a questi numeri, le immagini delle navi piene di grano bloccate nel porto di Odessa non possono che suscitare rabbia fortissima e sconcerto sulla follia della guerra. “Occorre intervenire subito per costruire corridoi umanitari per il grano, e poi è necessario che proprio da qui prenda avvio un nuovo multilateralismo”, ci dice Martina che avverte: guai al nascere di un nuovo protezionismo, sia esso nazionale o europeo.

Le guerre portano con sé emergenze e siamo in presenza di più conflitti. A parte i diversi conflitti armati in diverse zone del pianeta, io ne vedo almeno due principali: quella tra Russia e Ucraina e quella del clima. E la pandemia non è finita, rimane sullo sfondo. Gli effetti sono l'aumento delle disuguaglianze e la povertà alimentare.
Stiamo vivendo una tempesta perfetta: il combinato degli effetti generati da conflitti e guerre, insieme all'impatto del cambiamento climatico sulle produzioni agricole alimentari e agli shock economici generati da grandi emergenze come le pandemie. Questi tre fattori stanno generando una situazione straordinariamente emergenziale, in particolare per i paesi in via di sviluppo che li subiscono tutti e tre e quindi vivono quotidianamente uno stato di tensione e di emergenza, a partire dalla questione alimentare e ambientale che è veramente drammatica.

Vedo due emergenze: una immediata, e cioè che cosa fare con le navi piene di grano bloccate a Odessa e gli uomini e le donne che muoiono di fame nel Nordafrica. Poi ce n'è una di medio-lungo periodo, come evitare di ritrovarsi in questa situazione anche in futuro... 
Sul primo fronte occorre innanzitutto liberare i flussi di movimentazione di questi beni agricoli essenziali. Mantenere i flussi aperti deve valere per ogni paese ed è fondamentale soprattutto per quei paesi fortemente agricoli e fortemente esportatori. Poi è fondamentale non intervenire in altre realtà con politiche protezionistiche di stampo nazionale. La storia recente delle crisi alimentari, ci dice che non si risolvono queste situazioni in questo modo. Servono politiche di larga scala. In terzo luogo, occorre fare in modo di diversificare gli approvvigionamenti, non dipendere da pochi, ma cercare di aiutare in particolare i paesi che si trovano in una maggiore condizione di dipendenza. Questo per l'emergenza immediata. Per il resto occorre intervenire sui nodi strutturali delle disuguaglianze alimentari. Per noi della Fao il lavoro fondamentale consiste nel sostenere le politiche di sviluppo rurale e sostenibile nei territori più delicati, più fragili; significa intervenire per dare una mano ad agricoltori, allevatori, pescatori. Laddove c'è bisogno, ad esempio, di accompagnare queste persone verso un lavoro più efficiente, più organizzato, più sicuro. E sono tanti, per fortuna, i progetti che gestiamo, ma sempre troppo pochi rispetto al bisogno enorme.

Fermiamoci sulla contingenza. Parlavi della necessità degli aiuti. La fame nel mondo è tornata ad aumentare, a causa della pandemia e adesso della guerra, però assistiamo a una diminuzione della spesa europea e mondiale per la cooperazione mentre stiamo osservando un riarmo globale, a partire dall'Europa, che fa impressione.
Dal mio osservatorio rilevo che al momento, e anche dopo la pandemia, ci sono stati annunci di ingenti finanziamenti, anche multilaterali, sul versante più delicato di queste tematiche: quello della sostenibilità dei sistemi di sviluppo agricolo locale e più in generale del lavoro che bisogna fare nei paesi in via di sviluppo per rafforzare il fronte ambientale e alimentare. La preoccupazione vera è che questi finanziamenti siano effettivi e soprattutto efficaci. Da questo punto di vista uno dei nostri grandi compiti è anche semplificare il set di strumenti a disposizione dei paesi in via di sviluppo per fare bene questo lavoro, verificare passo passo gli interventi, cercare veramente di non smarrire il cuore delle ragioni fondamentali di questi interventi di tipo cooperativo multilaterale. C'è bisogno di sviluppare sempre di più questa strategia multipolare, nessuno di noi può affrontare gli effetti della pandemia, gli effetti dei conflitti, o gli effetti del cambiamento climatico, semplicemente con politiche di intervento locale o nazionale. Nessuno può farcela da solo. L'unica via possibile è mettere a fattor comune questi sforzi e quindi rinnovare anche così l’idea di multilateralismo e di cooperazione. Lo so, in questo tempo è faticoso affermare questa necessità, ma vorrei dire che è tanto più necessario farlo adesso.

L'aumento del prezzo del grano dipende solo dalla guerra?  In realtà, l'aumento delle materie prime alimentari e dell'energia è partito prima dell'avvio del conflitto. Allora non c'è qualcosa che non funziona, al di là della guerra in Ucraina?
Sicuramente sì: dobbiamo ricordare che, ad esempio l'indice dei prezzi alimentari globali è in aumento da ormai 15-18 mesi. Certamente c'è un effetto consistente dell'emergenza sanitaria e poi la guerra ha ulteriormente aggravato la situazione. Sarebbe miope non vedere che esiste anche una questione legata al cambiamento delle regole fondamentali del commercio globale che devono essere più eque, più capaci di affrontare il nodo delle disuguaglianze dei punti di partenza dei vari sistemi e comunità locali. Sicuramente dobbiamo anche riflettere sui problemi che abbiamo ereditato da una stagione della globalizzazione senza regole che ha travolto, almeno in parte, anche la frontiera dei diritti e degli equilibri di sostenibilità integrale di tanti territori. Ed è bene parlarne, non possiamo sottacere questo grande tema.

Lungo la filiera della produzione agricola nel mondo e in Italia, i lavoratori e le lavoratrici della terra sono tra i più sfruttati e meno pagati. Da noi sono in gran parte migranti economici che scappano dal proprio paese per fame e vengono sfruttati, per poi continuare in gran parte a patire fame e povertà. Forse questo modello economico non funziona più, semmai ha funzionato.
Questo è uno dei nodi più rilevanti della questione che abbiamo toccato poco fa: ritornare ad avere un'idea forte e condurre una battaglia per un lavoro dignitoso e per i diritti nel lavoro. A partire proprio dalla realtà delle produzioni agricole e alimentari che sono le frontiere più esposte ai mille problemi legati alla dignità del lavoro. Tornare a uno sforzo vero da questo punto di vista è fondamentale. Direi che deve essere una delle priorità fondamentali del nuovo tempo, un impegno che ciascuno di noi deve provare a esercitare.

Quale deve essere, a tuo giudizio, il ruolo dell'Europa?  Rischiamo, come tu dicevi, chiusure nazionalistiche e al più continentali. Ma se l'Europa si richiude dentro una fortezza e pensa alla propria sussistenza alimentare senza mettere in discussione i meccanismi da un lato del commercio mondiale, dall'altro dei diritti nel lavoro, come si fa a ridurre le diseguaglianze?
Dobbiamo riconoscere che l'Europa in questa sua difficile transizione, ha fatto alcuni passi in avanti importanti. E però non c’è alcun dubbio che debbano essere affrontati subito alcuni nodi irrisolti. È fondamentale dar vita ad un progetto europeo realmente unitario dal punto di vista sociale, economico, e in grado di affrontare una globalizzazione che probabilmente in futuro sarà più selettiva. Inoltre, l'Europa deve anche sviluppare una sua nuova idea forte, in particolare sull'asse che la collega all'Africa. Continuo a pensare che il Mediterraneo e il rapporto con l'Africa sia il nodo fondamentale del nostro futuro. Se dovessi scegliere come accompagnare il rilancio di progettualità interna europea, sceglierei senza ombra di dubbio un investimento vero, forte, duraturo lungo questa direttrice. Credo che questa sia la vera frontiera del futuro per tutti noi.

Mi pare di capire che nelle trattative per una tregua i grandi paesi che possono esercitare un'influenza su Russia e Ucraina dovrebbero porre come priorità quella di far ripartire il commercio del grano, del mais, delle materie prime che servono in agricoltura. Questo serve al mondo, ma serve anche all'Ucraina e alla Russia.
Spero che questo accada presto. Noi tutti lo chiediamo e lavoriamo perché questo avvenga. Stiamo parlando di beni agricoli e alimentari essenziali per la sopravvivenza di milioni di persone e quindi spero che questo possa essere uno dei segnali concreti utili in questo momento difficile.