Una somma di progetti non fa una strategia, ma tanti buoni progetti possono indicare una direzione di marcia. È questo l’auspicio che ci illustra il segretario nazionale della Cgil Giuseppe Massafra leggendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza dal punto di vista di giovani e Mezzogiorno. Le affermazioni sono importanti, ma occorre capire come le priorità si trasformano in progetti e capacità di spesa delle risorse a disposizione.

Giovani e Mezzogiorno. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza li definisce, insieme alle donne, priorità trasversali. Se capisco bene dovrebbe voler dire che in ogni missione, in ogni progetto del Piano ci sono delle azioni per i giovani e per il Mezzogiorno, oltre che per le donne. È davvero così?

Direi di no. Diciamo che aver indicato priorità trasversali doveva servire, è servito, a segnalare le urgenze che il nostro Paese ha per indirizzare la ripartenza. Ora la questione è come si traducono in politiche e in azioni le priorità individuate. Da questo punto di vista nel Piano appare quantomeno debole la scelta di non indicare in maniera puntuale e analitica le modalità con cui sviluppare concretamente un investimento su queste priorità.

 

 

 

Provo a spiegarmi. Nel nostro Paese i giovani vivono una condizione storicamente e strutturalmente difficile, finora le politiche messe in campo sono state poco efficaci rispetto ai bisogni complessivi delle nuove generazioni: opportunità occupazionali, mobilità sociale, qualità dei posti di lavoro, livelli di copertura delle tutele individuali e collettivi, un sistema di istruzione e formazione veramente inclusivo. Sono le criticità divenute emergenze. Purtroppo anche il Pnrr da questo punto di vista è largamente insufficiente e insoddisfacente.

Se il tema viene considerato una delle priorità trasversali, allora risalta assai negativamente – ad esempio -  l'assenza di una stima complessiva di quante risorse andranno ai giovani. È, quindi, difficile fare una valutazione complessiva e capire se davvero questo Pnrr riesca a sostenere quel piano a medio lungo termine, con il rilancio dell'occupazione giovanile basato su crescita delle competenze e delle qualificazioni, sviluppo di nuovi posti di lavoro, sostegno alle transizioni, maggiori garanzie e tutele.

l'Italia è fanalino di coda in Europa per occupazione giovanile, mentre ha il numero più alto di Neet. Una parte di questi cerca un lavoro quando lo trova, lo trova precario e spesso inadeguato rispetto alle competenze che i ragazzi e le ragazze hanno sviluppato nel corso del loro piano di studi. Un'altra parte di ragazzi di ragazze non ha lavoro, ma non lo cerca neanche, è fuori dal circuito dell'istruzione e della formazione. Ci sono piani, progetti, interventi, assunzioni di responsabilità nel Piano di ripresa e resilienza rispetto a questo, che è un fenomeno che pregiudica il futuro del nostro Paese?

Due riflessioni. Da un lato è evidente che dal Piano non emerge un progetto chiaro e definito né rispetto alla disoccupazione giovanile né rispetto al fenomeno dei Neet: più di due milioni sono i giovani che non cercano lavorano e non studiano. Voglio ricordare a tutti noi che stiamo parlando di un Piano che si chiama Next Generation Eu: insomma la sfida epocale che non solo l’Italia, ma l’Europa ha di fronte a sé è costruire le condizioni per la crescita e l’affermazione delle nuove generazioni. Se così è allora dobbiamo partire - questa è una delle richieste della Cgil - dal contrasto forte alla povertà educativa, cominciando ad investire innanzitutto sull’offerta educativa per i bambini tra 0 e 6 anni, cioè su nidi e scuole dell’infanzia. I dati dei test Invalsi resi pubblici in questi giorni, con il crollo dei livelli di apprendimento, confermano questa necessità, soprattutto nel Sud ma non solo. I divari formativi erano forti prima della pandemia, il coronavirus ha aggravato la situazione. Le risposte del Pnrr, torno ad affermarlo, sono assolutamente insufficienti. Così come insufficienti sono le strategie legate alla formazione permanente. Da tempo affermiamo che quello alla formazione sia un diritto soggettivo, oggi questo è ancor più vero se vogliamo accompagnare i lavoratori e le lavoratrici nella transizione da un modello produttivo e di sviluppo a un altro. Poco, davvero troppo poco a questo proposito

 

 

 

Allora, per rendere effettiva la declamazione che i giovani sono una priorità trasversale cosa bisognerebbe fare: è solo una questione di risorse?

No, penso che il problema fondamentale sia la mancanza di una strategia complessiva di come spenderle quelle risorse. Quindi torno al tema della progettualità. Se posso dirlo con uno slogan: non solo decontribuzioni per le assunzioni dei giovani, sì a piani per il contrasto alla dispersione scolastica, all’aumento delle competenze, al diritto alla formazione permanente. Sì a piani per l’occupazione giovanile. E lavorare per la riduzione dei divari formativi significa anche lavorare alla riduzione dei divari territoriali.

Cambiamo priorità. La risorse destinate al Mezzogiorno ci sono, il governo ha affermato che il 40% saranno investite nel Sud. Tutto bene?

Ad oggi siamo alla dichiarazione delle percentuali, ma il tema di fondo resta sempre lo stesso, abbiamo bisogno di capire come queste risorse verranno utilizzate. Anche con le programmazioni precedenti, quelle che utilizzavano i fondi ordinari della programmazione europea, abbiamo avuto un quantitativo di risorse non indifferente: ma non poche sono tornate indietro, non sono state spese, sono state indirizzate altrove, questo significa incapacità di programmazione.

 

 

 

Esiste una questione di carattere generale legata all'individuazione di una strategia di investimento di cui sono responsabili lo Stato e il governo centrale, in particolare sui temi della politica industriale, della politica di sviluppo. Ma la somma di singoli progetti non fa una strategia complessiva. Se prima non si disegna una strategia di sviluppo e una direzione di marcia si rischia di non riuscire a cogliere l’opportunità che arriva dall’Europa.

Esiste, poi, anche la questione della capacità delle singole regioni di individuare progetti e realizzarli. Non sempre i diversi livelli istituzionali – quello centrale e quelli territoriali - sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Non è un caso che una delle nostre rivendicazioni è proprio quello della governance e della partecipazione. Il partenariato economico e sociale deve avere un ruolo nella definizione non solo della quantità delle risorse da spendere, quanto, soprattutto, nella direzione degli investimenti, mettendo insieme le esigenze territoriali in un quadro di strategia nazionale più ampia. Questo è il cuore del ragionamento, questo è il tema su cui stiamo evidentemente cercando di sviluppare un confronto, con il governo che purtroppo, almeno per il momento, non trova risposte sufficienti.

Hai ricordato prima, come anche negli anni passati, attraverso i fondi ordinari dell'Europa, tante risorse sono arrivate in Italia ma in non poche occasioni non siamo riusciti a spenderle: forse non solo per lentezza, incapacità, ma anche perché è mancata negli anni un'idea precisa di quale dovesse essere l'indirizzo di sviluppo del Sud. Nel Pnrr c'è un'idea di quale direzione far prendere al Mezzogiorno?

Questo rischia di essere il vero punto debole del Piano. La mancanza di direzione non è nuova, è stata la caratteristica degli anni passati: la mancanza di una strategia complessiva per il Sud. Però voglio provare ad essere ottimista, certo la somma di tanti progetti non porta un'idea di sviluppo. Ma voglio provare a credere che una somma di progetti efficaci può determinare le condizioni dello sviluppo del Sud. Il Pnrr funziona per progetti e programmazione. E allora cerchiamo di fare di un limite un'occasione, cerchiamo di ridurre i divari, magari avendo comunque in mente che i vincoli europei, digitalizzazione e green, ci danno un indirizzo di marcia, e ricordando che lo sviluppo del Sud è la condizione della ripresa dell’intero Paese

Provo a fare un esempio: il sistema industriale più inquinante e più energivoro d’Europa è nel nostro Mezzogiorno. Quindi, in Italia e in Europa, la scommessa dell’abbattimento delle emissioni e della transizione verso un’economia ambientalmente compatibile si vince o si perde nelle nostre regioni meridionali. Gli investimenti, allora, devono servire a evitare che la transizione si traduca in una ecatombe occupazionale, o in desertificazione industriale. Faccio due casi che potremmo definire di scuola, Taranto e il Sulcis Iglesientes.

Ovviamente, una delle condizioni necessarie per favorire lo sviluppo è quello di avere una pubblica amministrazione più forte e rinnovata. Le risorse che arriveranno avranno bisogno di competenze pubbliche per trasformarsi in progetti e in realizzazioni. Questo è primo investimento da fare.

Perché, allora, il concorso per le assunzioni al Sud ha avuto l’esito che conosciamo?

Quel concorso è stato definito dalla ultima Legge di bilancio. Erano richieste competenze elevate, ma si offrivano posti a tempo determinato e con stipendi non adeguati alle professionalità richieste. Il punto è questo, si deve scommettere davvero sulla pubblica amministrazione: allora da un lato occorre investire su giovani da far crescere, dall’altro professionalità e competenze vanno valorizzate, fuori dalla logica della precarietà, con salari adeguati.

Nei prossimi anni arriveranno in Italia oltre 200 miliardi, i primi 20 nelle prossime settimane. Quando ci sono i soldi la criminalità organizzata rialza la testa. Sono arrivate grida d'allarme sia dalla ministra dell’Interno che dal procuratore nazionale antimafia. Cosa fare affinché i soldi europei non diventino foraggio per la criminalità?

In parte, diciamo, le risposte sono quelle che abbiamo dato prima: processi decisionali partecipati e trasparenti, qualità della pubblica amministrazione. Poi occorre potenziare la rete dei controlli sull’utilizzo delle risorse. Da questo punto di vista il tema della semplificazione è strategico. Ma se da un lato abbiamo urgenza di utilizzare le risorse per la ripresa rapida del nostro sistema economico e produttivo, dall’altro non possiamo, soprattutto in questa fase, allentare l’attenzione su come e chi le utilizza. La semplificazione, quindi, non può essere uno strumento che allenta quel sistema di controllo, di verifiche. Al contrario, deve essere uno strumento che, sburocratizzando una serie di processi, favorisce invece il controllo e la capacità di determinare procedure. Da questo punto di vista il tema degli appalti è centrale.

Un appalto pubblico assegnato col criterio del massimo ribasso, ad esempio, significa favorire chi lucra sul costo del lavoro, ma anche sul costo dei materiali. È stato uno degli elementi che nel tempo ha stratificato corruzione, illeicità e infiltrazione della criminalità organizzata. Attraverso gli appalti, quindi si può determinare anche il contrasto all’illegalità e allo sfruttamento del lavoro. E quando parlo di appalti e di Durc per congruità non penso solo al settore delle costruzioni, ma anche a quello dei servizi. Oltre a questo vanno potenziati tutti gli strumenti di controllo dall’Anac agli ispettorati del lavoro. Anche la digitalizzazione dei processi e la messa in rete delle banche dati sono strumenti utilissimi al contrasto di fenomeni di illegalità.

In una battuta la considerazione finale che ti chiedo è questa: la bilancia personale di Giuseppe Massafra, nel leggere il Pnnr dove pende?

 

 

 

Sono inguaribilmente ottimista, penso che abbiamo uno strumento che può determinare quel cambiamento di direzione necessario al Paese. Però per essere davvero questo, il Pnrr deve essere uno strumento “partecipato”. C’è la necessità di un confronto strutturato che metta tutti nelle condizioni di fare le proprie proposte, di esercitare il proprio ruolo. Noi ci stiamo spendendo tanto perché questo avvenga: sosteremmo la necessità di confronto e di partecipazione con la mobilitazione, consapevoli della responsabilità che, come organizzazione sindacale, abbiamo di fronte al Paese.