La crisi economica e sociale da pandemia è dura ovunque, ma il alcuni territori si è scagliata su una situazione già da emergenza. Il lavoro, nelle regioni meridionali, era già poco precario e spesso in vero prima del coronavirus, e in quest’ ultimo anno la perdita di posti di lavoro, soprattutto per le donne, ha ulteriormente aggravato la situazione. Potrebbe andare ancora peggio. “La fine del blocco dei licenziamenti sommata alla mancata riforma degli ammortizzatori sociali e  all’assenza tutt’oggi di politiche per il lavoro  determinerà in Sicilia una catastrofe sociale con il venire meno di 57 mila posti di lavoro”. Lo dice il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, che in una nota critica da un lato quella che definisce “l’irresponsabilità sociale della Confindustria”, dall’altro l’atteggiamento del governo “che avrebbe dovuto piuttosto tenere la barra dritta e accelerare sulle riforme e i provvedimenti al palo”. 

Per Mannino, “la gravità della situazione in Sicilia e nel Mezzogiorno o non è percepita o è sottovalutata. Ci saremmo aspettati- sottolinea- un ordine inverso dei provvedimenti: prima la riforma degli ammortizzatori sociali, le politiche attive e la partenza degli investimenti, poi la fine del blocco dei licenziamenti. Questa oggi determinerebbe nell’Isola un colpo di scure sul 3% del già esiguo numero di occupati”.

Insomma, questo è il punto, non si può dare mano libera alle imprese di scaricare la crisi su lavoratori e lavoratrici e nulla ancora è stato fatto per sostenere chi perde occupazione e rilanciare il lavoro. Il segretario della Cgil siciliana rileva che “oggi ci troviamo in presenza di risorse teoriche come quelle del Recovery Fund, mentre si pensa a tagliare quelle reali dei fondi strutturali, ben 500 milioni, in un settore strategico per la Sicilia come l’agricoltura”. “È una situazione paradossale- conclude Mannino- è incredibile che il dopo Covid parta da tagli e licenziamenti, anziché da investimenti e assunzioni. È difficile ipotizzare così una ripresa”.