Il 22 aprile scorso Antigone ha presentato il proprio ultimo rapporto, il ventesimo, sulla situazione delle carceri in Italia. I dati che questo rapporto fornisce confermano tristemente quanto puntualmente emerso anche dalla nostra iniziativa “Articolo 27. I diritti in carcere”, tenutasi in Cgil nazionale il 3 aprile.

Cosa è emerso? Il sovraffollamento cronico; le condizioni fatiscenti in cui versano molti istituti, con celle spesso inadeguate, prive degli spazi regolamentari, prive di docce, di acqua calda, con i servizi igienici a vista; l’assoluta scarsità di opportunità lavorative (solo 1/3 dei ristretti lavora, e di questi solo il 3,2% alle dipendenze di imprese o cooperative esterne); le gravi carenze di offerte trattamentali; la carenza di risorse e di personale, soprattutto educativo.

I numeri sono quelli: 61.049 presenze, a fronte di una capienza ufficiale di 51.178 posti, ma i posti effettivamente disponibili sono alquanto inferiori, circa 47 mila, per inagibilità, ristrutturazioni, indisponibilità, per cui, come sottolineato anche nella nostra iniziativa, le presenze in più salgono a circa 14 mila. In alcuni istituti si registrano addirittura tassi di sovraffollamento al 200%.

L’incremento delle presenze ne registra 2.062 in più nel 2022, e 3.970 in più nel 2023, a fronte di una diminuzione dei reati commessi: nei primi sei mesi del 2023 sono il 55% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono dati ufficiali Istat, nonostante i quali il sottosegretario Ostellari si ostina a dichiarare pubblicamente, come di recente al convegno Cnel sul carcere, che non c’è sovraffollamento in Italia, e che le presenze in carcere sono dovute a un aumento dei reati.

Nei fatti, invece, si tratta di una media di 331 presenze in più al mese, un trend che, se non si interviene subito con provvedimenti efficaci, ci porterà a fine anno nella stessa situazione per cui l’Italia, nel 2013, è stata condannata con la sentenza della Corte europea, nota come Torreggiani.

Rilevante è la presenza di persone con misure cautelari, in attesa di giudizio. Sono persone che in molti casi non dovrebbero stare in carcere. Impressionante la presenza di persone con problemi di salute mentale, che di ben altro avrebbero bisogno, ma ancora più impressionante è un dato che il rapporto evidenzia: i 122 Tso (Trattamenti sanitari obbligatori) effettuati in carcere. Una pratica illegale, visto che tali trattamenti dovrebbero prevedere, per legge, il ricovero in Spdc, in ospedale.

Meritano poi particolare attenzione, e una profonda riflessione, i dati relativi agli istituti minorili. Sono 17 gli Ipm presenti in Italia, e contano 532 reclusi al febbraio di quest’anno, con un aumento del 30% nell’ultimo anno. Di questi, però, solo 30 reclusi sono in carcere per espiare una pena, il resto dei presenti non ha alcuna condanna passata in giudicato, e si trova lì per custodia cautelare.

Abbiamo sempre sostenuto come altre siano le misure necessarie per prevenire e rispondere al disagio giovanile, invece questo governo, con i provvedimenti presi fin dal proprio insediamento, va nella direzione esattamente opposta: aumento delle pene, anche per reati minori; aumento delle fattispecie di reato, andando a colpire in particolare i minori, come con il “decreto Caivano”.

I fatti, le violenze del Beccaria ci interrogano su quanto sia ‘istituzionalizzato’ il maltrattamento, anche senza arrivare a quei livelli, dei giovani, con una presa in carico sempre più disciplinare e farmacologizzata, visto l’utilizzo smodato di psicofarmaci, come sottolinea il rapporto, con il focus specifico sugli istituti per minori. Per i ragazzi andrebbe escluso il carcere, e previsti percorsi di inclusione, istruzione, formazione.

Non è un caso, infine, che il rapporto abbia il titolo, tristemente evocativo, di “Nodo alla gola”. La maggior parte dei suicidi che avvengono in carcere sono per impiccagione, con mezzi di fortuna, lenzuola, lacci, alle sbarre delle celle, alle grate dei letti a castello. Nel 2023 si sono suicidate 69 persone, con una percentuale circa 20 volte superiore a quella della popolazione in generale. Dall’ inizio di questo anno i suicidi accertati sono 30, ma a questo numero si devono probabilmente aggiungere diverse morti di cui non si conosce la causa.

Antigone lo denuncia chiaramente: andando avanti così, a fine anno rischiamo di arrivare a livelli di suicidi ancora più drammatici di quelli dell’ultimo biennio. E avanza precise proposte, per evitare solitudine, abbandono, depressione, a partire da una maggiore ed effettiva disponibilità di attività, sia lavorative sia formative, dalla liberalizzazione dei colloqui telefonici, che oggi sono solo uno, di dieci minuti a settimana.

Le proposte che invece arrivano dal ministro Nordio, per rispondere ai problemi strutturali e di sovraffollamento, sono di costruire nuove carceri, utilizzando e ristrutturando anche vecchie caserme dismesse. Ma Antigone lo denuncia chiaramente: i tempi medi per realizzarle sono lunghi, circa dieci anni, con costi elevati. Ed è preoccupante la proposta di inviare le persone che hanno da scontare un residuo di pena di pochi mesi in comunità chiuse, trasformando di fatto quei luoghi in una sorta di carcere privato.

Di fronte alla situazione drammatica, allarmante, descritta dal rapporto Antigone, non possiamo che rilanciare le proposte che anche la Cgil avanza da tempo per porre fine alle condizioni in cui vivono le persone ristrette, che spesso hanno profili di illegittimità, che non garantiscono il fine costituzionale della pena. Azioni che si potrebbero realizzare da subito, con effetti positivi immediati.

Un minor ricorso alla custodia cautelare, a oggi sono circa 16 mila le persone che si trovano in carcere senza una condanna definitiva (il 26%), limitandola ad alcune precise fattispecie; la depenalizzazione di alcuni reati minori; la modifica del testo unico sugli stupefacenti, visto che oltre un quarto delle persone entra in carcere per detenzione di sostanze illecite, con la completa depenalizzazione dell’uso di sostanze, e la legalizzazione della cannabis.

E ancora: la sperimentazione di case per il reinserimento sociale per pene inferiori a 12 mesi. Elevare la detrazione di pena da 45 a 60 giorni, estendendo un beneficio già previsto dal nostro ordinamento per i detenuti che ne hanno i requisiti. E un serio ricorso alle misure alternative, anche ampliandole. Il rapporto sottolinea come le misure alternative, oltre ad avere un costo decisamente inferiore rispetto alla detenzione in carcere, abbattano decisamente la recidiva, che risulta oltre tre volte inferiore.

La proposta che arriva dalla presidente del Consiglio, invece, e che si colloca nella prospettiva di modifiche costituzionali già avanzate, è quella di eliminare dall’articolo 27 il fine rieducativo della pena. La Cgil si opporrà a questo, come alle altre proposte di modifica della Costituzione, che vanno dall’autonomia differenziata al presidenzialismo.

Lo Stato ha la responsabilità delle persone a esso affidate perché ristrette, deve garantire pene che non siano mai afflittive, lesive della dignità, ma mirate al recupero e al reinserimento, perché questo è il dettato costituzionale.

I dati del rapporto Antigone ci dicono invece della distanza sempre più grande fra il fine costituzionale delle pene e la reale situazione delle nostre carceri, sempre più contenitori di povertà e marginalità, luoghi dove non vengono pienamente garantiti i diritti fondamentali, a partire da salute, lavoro, istruzione e formazione, fondamentali per un pieno ritorno alla società delle persone ristrette una volta scontata la pena.

Anche in questo si sostanzia il percorso della Via Maestra, condiviso con Antigone.