Sonia – nome di fantasia -, ha 45 anni, due figli di dieci e quindici anni e da cinque lotta per salvare loro e sé stessa dalla violenza coniugale. La sua è una storia come tante altre di donne maltrattate dai propri compagni, violenza psicologica prima e fisica poi, inizialmente rivolta solo verso di lei e nel tempo anche verso i figli. Che sono stati la molla per farle dire basta e trovare la forza per denunciarlo. Un passo che troppe donne non riescono a compiere sia perché soggiogate psicologicamente sia perché quello che si apre con la denuncia è un percorso a ostacoli che passa per tribunali, avvocati, assistenti sociali, consulenti e vie di fuga. Tutte cose che costano, molto. “Io ho potuto permettermelo perché lavoro e potevo mantenermi, e questa certezza granitica mi ha dato anche la forza per resistere agli attacchi in tribunale dove sono stata trattata non come la vittima ma come colpevole. Il lavoro non solo mi ha dato le risorse per fare fronte alle esigenze mie e dei miei figli, ma mi ha aiutato anche a tenere la barra dritta quando tutto crollava”. 

Il calvario di Sonia non finisce con la denuncia e la fuga da casa verso una residenza protetta, cambia. Racconta che praticamente da subito il Tribunale dei minori della cittadina siciliana dove vive le ha messo alle costole gli assistenti sociali perché aveva allontanato i figli dal padre violento. Una scelta obbligata perché il primo passo per una donna vuole fuggire alla violenza domestica è lasciare la casa familiare. E in questa dinamica gli avvocati dei padri, che spesso trovano appigli in tribunale in quella cultura patriarcale che individua sempre e comunque una colpa nella donna, non si fanno alcuno scrupolo a usare i figli e il loro benessere come arma di ricatto nei confronti delle madri.  

Secondo i più recenti dati Istat – che si riferiscono all’indagine 2018 - le donne che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza sono state 30.056, di queste il 63% ha figli, minorenni in 7 casi su 10. Figli che hanno bisogno di vestiti, libri, spesso di assistenza psicologica perché questi eventi sono altamente traumatici e fuggire significa cambiare tutto, scuola, amici, riferimenti. Impegni costosi che se non si ha un reddito o una famiglia di provenienza disposta a sostenerti sono inarrivabili. In questa difficoltà, le donne del mezzogiorno come Sonia sono quelle che se la passano peggio. L’Istituto nazionale di statistica ci ricorda che al Sud il tasso di occupazione delle madri è appena al 35,9% mentre al Centro e al Nord si attesta rispettivamente al 65,1% e al 69,4%, numeri e rapporto analogo a quello delle donne senza figli. E anche nella distribuzione delle case rifugio come in quello dei servizi, il Nord è favorito rispetto al mezzogiorno. Senza lavoro, senza un reddito, lasciare un uomo violento diventa quasi impossibile. 

Dopo la condanna il marito di Sonia, che come la maggior parte degli uomini che hanno esercitato violenza sui propri familiari, già si rifiutava di versare il mantenimento per i figli, viene licenziato. “Così se prima almeno ogni tanto mi versava qualche centinaio di euro, adesso è davvero nella condizione di non darmi più nulla. Avrei avuto diritto al 40% del suo Tfr ma ho scoperto che lo aveva già incassato e fatto sparire. Insomma, i figli sono i miei, io li mantengo, io faccio da padre e da madre, io me ne occupo. E posso farlo perché ho uno stipendio su cui contare”. 

Sonia chiude il suo racconto con un’osservazione dura che vorremmo arrivasse alla politica, a chi legifera e che nonostante le campagne di sensibilizzazione e le belle parole che ogni anno vengono spese in occasione del 25 novembre, appaiono sordi a questo tema grave.  “Qualunque uomo abbia avuto il coraggio di fare del male fisico a una donna non si farà alcuno scrupolo a metterla in difficoltà sul piano economico, col bene placido di uno Stato che prima esorta alla denuncia per dimenticarsi subito dopo delle vittime, in virtù di un garantismo miope e di tempi e modalità della giustizia da preistoria”.

Esmeralda Rizzi, dipartimento politiche di genere Cgil nazionale