“Assisi, 24 settembre 1961: settecento anni sono passati da quando il più umile e il più grande figlio dell’Umbria, Francesco, lanciava da questi colli, all’Italia e al mondo, il suo messaggio di umana fratellanza, di amore per la vita e le sue creature”. È l’inizio della cronaca della prima Marcia per la pace. Con il commento di un cronista d’eccezione: Gianni Rodari. Sfileranno quel 24 settembre di 60 anni fa circa 20.000 persone tra cui  Norberto Bobbio, Renato Guttuso, Italo Calvino.

“Aver mostrato che il pacifismo, che la non violenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle non collaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia”, dirà a conclusione dell’esperienza il suo ideatore Aldo Capitini.

Scriveva il filosofo nelle proprie note autobiografiche:

A una marcia della pace pensavo da anni e una volta ne detti anche l’annuncio, d’accordo con Emma Thomas, tanto che l’Essor ginevrino pubblicò la notizia. Ma l’idea non si concretò per varie difficoltà. Quando, nella primavera del ‘60, feci a Perugia insieme con amici un bilancio delle iniziative prese e di quelle possibili, vidi che l’idea della marcia, soprattutto popolare e regionale, piacque. Ma solo nell’estate essa prese un corpo preciso in riunioni apposite, che portarono alla fondazione di un comitato d’iniziativa. Ebbi pronte adesioni come quella del maestro Gianandrea Gavazzeni; passarono mesi di spedizione di circolari e di lettere personali; dall’on. Pietro Nenni ebbi nel novembre 1960 una lettera molto favorevole. Ma debbo dire che oltre quel primo carattere, di iniziativa non dei partiti, che avrebbe dovuto assicurarmi una più facile adesione da tutte le persone e associazioni operanti in Italia per la pace, io tenevo sommamente a un secondo carattere, che anzi era stato il movente originario del progetto: la marcia doveva essere popolare e, in prevalenza, regionale.

“Nell’idea di ‘fratellanza dei popoli’ si riassumono i problemi urgenti di questo tempo - recita il primo dei cinque principi contenuti nella Mozione del popolo per la pace letta e approvata a conclusione della Marcia - il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello sfruttamento; l’incontro dell’Occidente con l’Oriente asiatico e con i popoli africani che aspirano con impetuoso dinamismo all’indipendenza; la fratellanza degli europei con le popolazioni di colore; l’impianto di giganteschi piani di collaborazione culturale, tecnica, economica”.

“Per preparare la pace durante la pace - ribadisce il secondo punto - è necessario diffondere nell’educazione e nei rapporti con tutti a tutti i livelli, una capacità di dialogo, una sincera apertura alla coesistenza ed alla pacifica competizione di ideologie e di vari sistemi politici e sociali, nel comune sviluppo civile, ed affermare il lavoro come elemento costruttivo fondamentale”.

Il Movimento Nonviolento, fondato all’indomani della prima Marcia della Pace, rifiuterà di rendere annuale la sua periodicità per evitare, si disse, di trasformarla in uno stanco rituale: la seconda marcia (1978, "Mille idee contro la guerra") sarà organizzata in occasione del decimo anniversario della morte di Capitini, mentre la terza (1981, "Contro la guerra: a ognuno di fare qualcosa") avverrà per commemorare il ventesimo anniversario della prima.

Seguiranno fino al 2019 altre 21 marce (24 in totale), di cui due straordinarie: una, il 16 maggio 1999, contro guerra in Kosovo ed una il 12 maggio 2002 per la pace in Medio Oriente. A causa dell’emergenza Covid, la Marcia della pace Perugia - Assisi 2020 è stata una lunga catena di costruttori di pace con le persone distanziate almeno due metri ma unite da un filo da ciascuno portato e annodato a quello degli altri.

“La pace - scrivevano nell’occasione Cgil, Cisl e Uil - è partecipazione. Partecipare attivamente alla costruzione di un futuro basato su un differente modello culturale, sociale, economico, volto al rispetto dell’altro, della dignità umana, della giustizia e dell’uguaglianza. Il mondo di oggi conta oltre 350 conflitti, più di 20 guerre con quasi tre milioni e mezzo di morti, decine di migliaia di sfollati, un fenomeno migratorio inarrestabile e una ripresa della corsa agli armamenti. La complessità delle crisi, alcune delle quali inasprite dalla pandemia richiede, oggi più che mai, un rinnovato impegno e una decisa responsabilizzazione nelle scelte che le istituzioni sovranazionali e nazionali sono chiamate a compiere”.

 Il 10 ottobre prossimo si inaugurerà il decennio della cura e la Marcia Perugia - Assisi della pace e della fraternità 2021 sarà intitolata a Gino Strada. “Viviamo in un villaggio globale - diceva il fondatore di Emergency - sconvolto dalle guerre, un pianeta, quello degli uomini, dove tra l’altro qualcuno ha seminato cento milioni di mine antiuomo. Decine di conflitti, milioni di morti. Con tutto il corollario di vergogne, vero arsenale della guerra: fame e malattie, miseria e odio, esecuzioni sommarie, vendette, attentati, stupri, pulizie etniche, torture, violenze. Terrorismo. E a scuola si studiano le battaglie, non la guerra. Né la pace”. Una pace per la quale noi, tutte e tutti, non smetteremo mai di essere in marcia. Oggi come 60 anni fa.

Raccontava allora Gianni Rodari:

Nel secolo dei satelliti artificiali e della bomba all’idrogeno una folla diversa si raccoglie all’ombra dell’antica rocca per ascoltare un nuovo messaggio di pace; è la stessa folla che oggi, domenica, riempie gli stadi o si sgrana lenta all’ora del passeggio cittadino. (...) Si conclude ad Assisi, poco prima del tramonto, la Marcia della Fratellanza e della Pace: venti, trentamila persone sono partite stamattina da Perugia; hanno percorso a piedi i lunghi e faticosi chilometri che separano il capoluogo dell’Umbria verde dalla città di san Francesco, solo per dire all’Italia e al mondo, in questa penultima ora del giorno: «Vogliamo vivere, vogliamo che il mondo viva, vogliamo che da un continente all’altro le mani si stringano». (...) C’è gente d’ogni condizione sociale; il deputato cammina fianco a fianco al mezzadro, lo scrittore famoso accanto al professionista, al contadino umbro, allo studente romano. Delegazioni sono giunte da Cosenza, da Messina, da Palermo, da Trento, da Pescara, da Torino, da Genova, da Milano, da Taranto. Professori universitari, artisti, dirigenti sindacali si mescolano alle famiglie venute al completo, con la borsa per la merenda, alle ragazze in costume, agli sportivi. Vedremo apparire un grande ritratto di Lumumba, l’eroe dell’indipendenza congolese, tra quello di Dag Hammarskjold e quello di Gandhi, l’apostolo della nonviolenza. Dietro gli stessi cartelli, con lo stesso passo sostenuto e pieno d’ottimismo, camminano i rappresentanti di un gruppo teosofico e quelli degli esperantisti, gli obiettori di coscienza e gli invalidi di guerra, operai di fabbrica e mutilati. Le bandiere hanno il colore dell’arcobaleno, ma il richiamo alla natura ha un suo significato speciale: l’arcobaleno, questa volta, lo vogliamo prima della tempesta, non dopo. La pace deve precedere, impedire la guerra, per non essere soltanto un doloroso bilancio di rovine. (...) Il cielo umbro risponde con un azzurro sorriso. Due giovani e già famosi scrittori, Italo Calvino e Giovanni Arpino, aprono il corteo reggendo lo striscione che reca la scritta: Marcia della Pace e della Fratellanza. Il corteo si snoda di colle in colle come un discorso nel quale confluiscano argomenti diversi; lo vedete dai cartelli che fioriscono tutti dalla stessa profonda aspirazione alla pace, ma alla figura della pace recano ciascuno un tocco particolare. Così sarà, del resto, se vorremo la pace: essa potrà essere soltanto la somma e la moltiplicazione di volontà diverse, e non già - quanta attualità in queste parole! - il frutto uniforme dell’imposizione di una sola volontà sulle altre.