I fondi del Recovery plan, lo abbiamo già scritto nelle scorse settimane, rischiano di essere utilizzati anche per finanziare l'industria delle armi. A partire da una bozza presentata dal Governo Conte, le Commissioni di Camera e Senato hanno infatti sfornato una relazione, con una serie di pareri e richieste che ora sono al vaglio dell’esecutivo. Tra le proposte aggiuntive, che non erano previste nelle bozze iniziali, c'è anche la possibile destinazione “armata” di una parte dei Fondi europei del Next Generation Eu. Un'anomalia, quanto meno, che è stata rivelata per prima dalla Rete italiana pace e disarmo. E per porvi rimedio manca davvero poco, perché Palazzo Chigi ha confermato la presentazione all'Europa entro il 30 aprile. Sarebbe quindi escluso il ventilato slittamento a metà maggio.

La rete della pace, che coordina oltre 70 organizzazioni della società civile italiana (tra le quali ci sono anche la Cgil nazionale, quelle di Padova e Verona, e la Fiom), ha tra l'altro messo in luce come alcuni rappresentanti delle aziende di armamenti siano stati ascoltati durante i lavori delle Commissioni, mentre lo stesso non è avvenuto con la società civile, e in particolare quella delle associazioni del mondo pacifista. Che ora chiede un confronto urgente con il presidente del Consiglio Mario Draghi.

“Gli abbiamo inviato nuovamente, come già avevamo fatto all’inizio del suo mandato, le nostre 12 Proposte di pace e disarmo per il Piano nazionale di ripresa e resilienza - fanno sapere dalla Rete Pace e Disarmo -. Abbiamo seguito con attenzione il lavoro delle commissioni di Camera e Senato e riteniamo che il governo, prima di redigere la stesura finale del piano da inviare a Bruxelles, debba sentire anche le voci che noi rappresentiamo. Non possiamo accettare che le basi da cui far ripartire il nostro Paese siano anche armate e ancora una volta si privilegino gli interessi delle industrie belliche anziché affrontare con nuovi e più sensati strumenti le sfide epocali che abbiamo di fronte”.

Secondo le associazioni pacifiste, infatti, la produzione e il commercio delle armi ha un enorme impatto sull’ambiente: “Invece di trasformare il futuro in una direzione più sostenibile, come lascito alle prossime generazioni, continuare a prepararsi alla guerra, oltre alle incalcolabili perdite umane, significa gettare i semi per distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la Pace è anche un contributo al futuro ecologico”.

Le convinzioni della Rete sono contenute nelle “12 proposte” pubblicate già nello scorso febbraio. Le linee guida riguardano “il superamento di una visione meramente nazionale della politica estera che invece dovrebbe guardare all’Europa come potenza di pace”; la riconversione “verso un’economia disarmata e sostenibile”; la difesa civile “non armata e nonviolenta” come realizzazione del dettato costituzionale; il servizio civile universale come “occasione di rafforzamento del senso di cittadinanza e difesa concreta delle persone”; l’educazione alla pace, dall’infanzia all’Università, “per costruire un futuro più giusto”.

Il rilancio del Paese dopo la crisi pandemica, insomma, non può basarsi sulla produzione di armamenti, ma deve attenersi “ai principi ed ai valori della pace, della cooperazione, della solidarietà, al rispetto dei diritti umani per tutti, senza discriminazione alcuna”: l’unico modo per essere coerenti con i principi e valori dei Trattati europei e con la Costituzione italiana.