Saranno trascorsi pure 75 anni dalla fine della guerra ma lo spirito della Resistenza vive nelle parole che partigiane e partigiani dell'Anpi hanno deciso di rivolgere al presidente del Consiglio Giuseppe Conte per ottenere giustizia e verità per Giulio Regeni. Combattenti per la libertà come Gastone Cottino, nome di battaglia Lucio, classe 1925. "Il partigiano che fui mi resta nel sangue - spiegava nel libro Noi Partigiani - "Non dovrei raccontarlo ma ora che sono vecchio, certe volte, quando vedo scorrazzare di nuovo quelli di Casapound e di Forza Nuova mi viene la tentazione... Be', meglio che non lo dica".

È proprio Gastone Cottino il primo dei partigiani a consegnare a un video tutto il proprio disappunto per la vicenda di Giulio, il giovane ricercatore friulano che a quasi cinque anni dal rapimento, dal sequestro e dall'uccisione non ha ancora trovato pace.  Le loro, seppure lontane negli anni e nei luoghi, sono due storie che si incontrano.

Gastone Cottino era un ragazzo della borghesia liberale torinese, al liceo si trovò tra i compagni Paolo Gobetti, figlio di Piero. e Guido Treves, ebreo che nel 1938 non fece ritorno a scuola. "Lì ebbi il mio primo istinto di ribellione" - racconta il partigiano nel libro curato da Gad Lerner e Laura Gnocchi.  Membro della Brigata Sap "Mingione", a guerra finita tornò agli studi fino a diventare docente di diritto commerciale e preside della Facoltà di Giurisprudenza a Torino. Un resistente e uno studioso proprio come Giulio, finito nelle mani dei suoi aguzzini per via delle sue ricerche dedicate al mondo dell'attivismo sindacale in un Egitto piagato dalla repressione.

Nelle scorse settimane la procura di Roma ha chiuso le indagini sull'omicidio di Regeni e a rischiare il processo sono quattro agenti dei servizi segreti egiziani: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali aggravate e concorso in omicidio aggravato. Alla luce dei risultati dell'indagine, la famiglia Regeni è tornata a chiedere al governo italiano di ritirare l'ambasciatore dal Cairo. Una richiesta sostenuta ancora una volta dall'Associazione nazionale dei partigiani che in quell'occasione aveva dichiarato tramite il presidente Gianfranco Pagliarulo: "Vanno rivisti i rapporti con un Paese ritenuto amico, ma il cui governo non si è dimostrato degno di tale amicizia. Prima era un'esigenza di giustizia davanti a un crimine efferato e anche una questione di dignità nazionale. A questo punto è un nodo di civiltà. Sono trascorsi quasi cinque anni dal barbaro assassinio di un cittadino italiano inerme in un Paese straniero. L'orrore rivelato dalla Procura di Roma conferma che è stato superato il punto di non ritorno".

Partigiane e partigiani, si sa, non si arrendono mai e così, e questo sabato 19 dicembre partecipano alla mobilitazione #StoparmiEgitto promossa dalla Rete Disarmo.

Contemporaneamente l'Anpi ha voluto lanciare una campagna fatta di volti e parole. “Signor presidente del Consiglio, - dice Cottino - chiedo giustizia per Giulio Regeni. Adesso. E passato troppo tempo, troppo dolore, faccia rispettare i diritti umani e la dignità del nostro Paese. I nostri partigiani "sono anziani ma ancora combattenti, scrive l'Anpi sul proprio sito, contro ogni fascismo, per i diritti umani. La loro battaglia fonda la Repubblica e la convivenza civile".

Anche Mirella Alloisio, nome di battaglia Rossella, si unisce all'appello. Classe 1925, proprio come Cottino quando liberarono l'Italia era responsabile della segreteria operativa clandestina del Cln Liguria.