Nell’estate del 1992 l’Italia precipita nel pieno di una crisi drammatica. Dopo la firma del Trattato di Maastricht, che impone al paese una dura politica di sacrifici per centrare il traguardo europeo, una serie di avvenimenti scuote alle fondamenta il sistema politico-istituzionale: l’avvio delle inchieste giudiziarie di Tangentopoli, i risultati delle elezioni politiche di aprile, l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino da parte della mafia, che tornerà a colpire. 

Il contributo del sindacato

Tra l’estate del 1992 e l’estate del 1993, in piena emergenza economica e politica, il sindacato dà un contributo decisivo per l’uscita del paese dalla crisi, collaborando con i Governi Amato e Ciampi, con i quali firmerà due accordi fondamentali. Il primo, siglato il 31 luglio 1992, poneva fine al meccanismo della scala mobile e prevedeva misure urgenti in tema di occupazione; con il secondo, firmato il 23 luglio 1993 dopo la ratifica dei lavoratori, si stabilivano per la prima volta nella storia italiana regole certe nel sistema di relazioni industriali: l’intesa prevedeva, infatti, l’introduzione della politica dei redditi e della concertazione, nonché la riforma del sistema contrattuale, articolato su due livelli (nazionale e decentrato), di cui si fissavano tempi e materie.

Il segretario generale della Cgil, Bruno Trentin, si piega con molta inquietudine a firmare l’accordo del 31 luglio 1992 di cui non è per niente convinto. “Mi sono trovato assediato - dirà -. La divisione dei sindacati e nella Cgil avrebbe dato un colpo finale al potere contrattuale del sindacato come soggetto politico”. Il senso di responsabilità e il timore della fine di ogni unità sindacale lo spinge a siglare l’accordo, lasciando però liberi gli organismi dirigenti della Cgil di convalidare o meno l’intesa. Si dimetterà da segretario lo stesso 31 luglio (a settembre le sue dimissioni verranno respinte dal Direttivo confederale). Così scriveva lo stesso giorno nel suo diario:

“Tutto si è compiuto in questo giorno e nella notte (…). Mi sono trovato assediato: al di là  delle intenzioni e del peso effettivo della minaccia di crisi di Governo che Amato ha evocato, era certo che un fallimento del suo tentativo avrebbe avuto, a quel punto, degli effetti incalcolabili sulla situazione finanziaria del Paese e sul piano internazionale. (…) Salvare la Cgil e le possibilità  future di una iniziativa unitaria del sindacato; impedire che fosse imputata ad una parte della Cgil la responsabilità di un ulteriore aggravamento della crisi economica per emarginarla sul piano politico mi imponevano di firmare l’accordo e di lasciare quindi libera la Cgil e i suoi organismi dirigenti di convalidare o meno quella decisione. E spero ancora, per le ragioni politiche che mi hanno indotto a quel gesto, che lo faccia e tragga da questo la forza per ribaltare a settembre le regole del gioco fuori da ogni ricatto. Dall’altra parte, ero ben cosciente che, ciò facendo, disattendevo il mandato ricevuto dalla Direzione della Cgil, quel mandato che avevo sollecitato con tanta insistenza, contrapponendomi alla tesi dei soliti rentiers della politica del sempre peggio, che invocava l’abbandono del negoziato. Non potevo annunciare alla Segreteria della Cgil la mia intenzione di firmare, senza preannunciare le mie dimissioni. Ciò che ho fatto”.

“Ho firmato - diceva a Bruno Ugolini qualche giorno dopo (l’Unità, 6 agosto) - quel brutto protocollo per non aggiungere sfascio allo sfascio, per responsabilità verso il Paese e i lavoratori. C’era il rischio di una crisi di governo con pesanti ripercussioni economiche e finanziarie”. E, ancora:

“Ho letto che si sarebbe trattato di uno stato di costrizione personale nel quale mi sarei trovato, come sottoposto a ricatti addirittura di singole persone. E così sarei stato costretto a firmare quell’accordo. È un quadro assolutamente ridicolo e anche mortificante per un episodio che ha avuto ben altro spessore. lo non sono stato sottoposto a nessun ricatto personale. Ho dovuto prendere in considerazione, come dirigente della Cgil, uno stato di fatto. Tale stato di fatto mi ha indotto ad assumere, appunto, una decisione che ho ritenuto conforme al senso di responsabilità che richiedeva la situazione venutasi a creare (…) Non sono pentito - lo ribadisco - né della firma, ne delle dimissioni. Tanto è vero che ho comunicato queste dimissioni alla segreteria della Cgil presente a palazzo Chigi prima di apporre la firma al protocollo presentato dal governo Amato. E le ho presentate prima proprio perché ritenevo che la firma, pur contravvenendo in alcuni punti al mandato ricevuto, non aveva in quel momento, alcuna alternativa. Questo ha voluto dire ‘decidere’. Mi sono fatto carico, in un momento in cui solo poche persone potevano assolvere a questo onere, degli interessi generali che erano coinvolti, nell'ipotesi di una rottura tra sindacati e governo (…) Non le ho date per scherzo. Intendo, prima di discutere qualsiasi altra cosa, spiegare, al direttivo della Cgil, le ragioni che mi hanno indotto a queste dimissioni. E che sono inseparabili dalle ragioni che mi hanno portato alla firma del protocollo, pur giudicandolo così negativamente”

Lo "Statuto del salario"

Nell’aprile successivo, dopo il referendum sul maggioritario, il Governo - travolto dallo scandalo di Tangentopoli - si dimette. Il nuovo Governo Ciampi riprende e accelera la trattativa e il negoziato si conclude positivamente il 23 luglio.

Nasce lo “Statuto del salario”, titolerà l’Unità il giorno successivo. E poi: “Oltre due anni di trattative, scioperi, disdette, incontri. Con una prima tappa contestata, il 31 luglio 1992. Ora è nato l’accordo sulla riforma della contrattazione. Hanno dato il loro assenso al testo presentato da Ciampi e Giugni, le tre Confederazioni, Cgil, Cisl e Uil. Ma Abete, a nome della Confindustria, ha detto che il suo istinto lo avrebbe portato a non pronunciare quel ‘sì’. Ora l’intesa verrà sottoposta alla consultazione di oltre 20 milioni di lavoratori. Essa contiene, tra l’altro, due livelli di contrattazione, nazionale e in azienda. Era questa la ‘bestia nera’ della Confindustria. Il salario, nel nuovo sistema, verrà contrattato ogni due anni, con aumenti coerenti all’inflazione programmata. Se dopo tre mesi dalla scadenza il contratto non viene rinnovato in busta paga ci sarà una indennità pari al 30 percento dell’'inflazione programmata che diventa il 60 per cento dopo sei mesi”. 

Regole certe e concordate

“Accordo storico?”, si legge ancora sul quotidiano: “Lo vedremo. Intanto, per la prima volta nella storia delle relazioni industriali del dopoguerra - sempre informali e fragili - ci sono regole certe e concordate”.

Regole certe e concordate su contratti (un contratto nazionale da rinnovare ogni quattro anni sulla parte normativa e ogni due anni sulla parte salariale con aumenti coerenti all’inflazione programmata. Ogni quattro anni contratti aziendali con aumenti legati a produttività e qualità), salario (gli aumenti aziendali saranno agevolati per la parte contributiva con una legge. Se dopo 3 mesi dalla scadenza il contratto non viene rinnovato in busta paga ci sarà una indennità pari al 30% dell’inflazione programmata che diventa il 60% dopo 6 mesi: è la cosiddetta scala mobile carsica) mercato del lavoro (raddoppia l’indennità di disoccupazione. Si accelerano le procedure per la cassa integrazione. Per la prima vola in Italia sarà previsto il “lavoro in affitto”) rappresentanza (viene recepito l’accordo sindacale del 1991 sulle Rsu, ma un terzo dei delegati dovrà essere espressione di Cgil Cisl Uil).

“Se avessi seguito l’istinto non avrei firmato ma ho deciso di seguire la ragione”, è il commento del presidente di Confindustria Luigi Abete. “È l’accordo migliore che si poteva raggiungere in queste condizioni, in questi tempi, in queste circostanze - dice invece a Bruno Ugolini Bruno Trentin -. Difficilmente avremmo potuto conseguire un accordo migliore tra qualche mese o aspettando l’autunno come voleva la Confindustria. È un accordo che vede distanze grandi tra le posizioni di partenza della Confindustria e quello che ha accettato ora. E in questo senso l’intesa segna un progresso almeno per il sindacato molto netto rispetto all’accordo del 31 luglio 1992. Il protocollo verrà sottoposto ora alla consultazione dei lavoratori e mi auguro che venga garantito il diritto di voto”. 

L'importanza della consultazione

“La consultazione - scrive sul tema Bruno Trentin il 9 agosto - ha dato i risultati che si poteva prevedere e temere, nel caso di un referendum come questo, vissuto dalla gente e dai mass media come fosse una consultazione a cose fatte, una ratifica e un atto di mera testimonianza. Un enorme sforzo della Cgil - circa 30.000 assemblee, una maggioranza di sì del 70%, ma una massa di addetti coinvolti assai esigua (3 milioni) e soprattutto un assenteismo impressionante anche se variamente distribuito (1 milione e mezzo di votanti!). Su questo dato, come era scritto nella storia prefabbricata dei nemici del sindacato generale, e vari segmenti dell’opposizione nella Cgil, i Cobas di varia natura, il sindacalismo autonomo hanno tentato di costruire stancamente il loro atto di accusa, anche se non sono riusciti a costruire, anche in termini di progetto - non parliamo di lotta - una benché minima alternativa. Si preparano soltanto a continuare come prima a sostenere qualsiasi conato di resistenza corporativa di fronte ad una crisi economica e a una delegittimazione della classe imprenditoriale che sono destinate a fare sentire nei prossimi mesi e in misura fin qui impensabile i loro effetti disgreganti. Avevo scritto su questo poche parole a Pietro Ingrao. Mi ha risposto con una lunga lettera che manifesta comunque una volontà di dialogo, e di questo, ora, mi sento debitore”.

La lettera a Ingrao

Nel settembre del 1993 Trentin scrive a Ingrao:

“Caro Pietro ho voluto prendere tempo per poterti rispondere con un minimo di serenità. Parlo di quella che ho perso dal 31 luglio 1992, che ha rappresentato - alla distanza lo posso ben dire - la prova più terribile della mia vita. Ti dico subito che quando cogli il carattere in parte formalistico del mio rilievo alle tue dichiarazioni sull’accordo ‘firmato’, fai un’osservazione fondata. Più che la volontà contano i fatti. E il fatto è che per ‘abitudine’, per disattenzione, per indifferenza anche, non solo i mass media, ma molti lavoratori hanno dato per fatto l’accordo, dopo la conclusione delle trattative il 3 luglio del 1993. E sulla consultazione molti si sono comportati come si sono comportati in passato di fronte a contratti firmati e poi sottoposti a referendum (...) Eppure rivendico l’importanza di una battaglia fatta per non identificare la fase conclusiva di un negoziato (...) con un accordo definitivo, da ratificare eventualmente con un referendum. Non è stato facile respingere il ricatto di una conclusione dell’accordo prima del referendum del 18 aprile e delle dimissioni del governo Amato. Non è stato facile non solo rispettare l’impegno della Cgil ma imporre alle altre organizzazioni sindacali - per la prima volta in questo dopoguerra se non sbaglio - di non siglare il verbale della trattativa come era consuetudine, per lasciare interamente liberi attivisti e lavoratori nella scelta che dovevano compiere (...) Ritengo un errore liquidare in modo caricaturale una consultazione che è stata certamente piena di limiti organizzativi e soprattutto politici, ma che esprime, malgrado tutto, un impegno di partecipazione democratica, fondata sul volontariato, che nessun altro soggetto politico o sociale avrebbe potuto realizzare, non solo in Italia ma anche in Europa. Allora è una esperienza sulla quale riflettere per trarre tutti gli insegnamenti, ivi compresa la profonda crisi di sfiducia nei confronti dei partiti e dei sindacati, e per correggere i limiti e gli errori (...) Detto questo, vorrei proprio ricominciare a discutere con te dei contenuti e dei valori di una strategia della solidarietà capace di fronteggiare la disgregazione corporativa, cavalcata fino a ieri dall’estremismo di sinistra (...) ed egemonizzata oggi, con straordinaria efficacia, dalla Lega (...) Penso ancora di aver compiuto delle scelte anche molto difficili - come quelle del 31 luglio - che però si sono rivelate, quanto meno, le più favorevoli ad una ripresa del conflitto sociale, con una unità d’azione che ne costituisce - oggi più che mai - una condizione essenziale. Ma ogni critica e ogni accusa (non sono mancate le più infami, se le giudico ‘razionalmente’) hanno lasciato in me - puoi stare sicuro - delle tracce indelebili. Anche perché non mi sento di continuare in un impegno per quanto ‘ragionevole’ lo ritengo, pagando ogni giorno il peggio di una rottura con persone, amici in carne ed ossa, che hanno fatto parte degli anni migliori della mia vita. E ti assicuro che la mia convinzione sulle scelte da me compiute non mi ripaga di questo. Lascerò questo lavoro. Ma vorrei almeno che con un amico come te riprendesse il dialogo, persino uno scambio di informazioni, una verifica comune sui fatti e non solo sulle apparenze e le intuizioni (...) Penso più di prima che l’intervento del ‘soggetto’, di nuove soggettività collegate a nuovi bisogni e nuovi valori, ma anche ad un irriducibile bisogno di autonomia e di libertà contro le vecchie e nuove forme di autoritarismo, sia il vero elemento motore del conflitto sociale - di classe e non solo - e la garanzia insostituibile di un progresso della democrazia verso una progressiva (anche se mai praticamente raggiungibile) ‘liberazione del lavoro’ (...) Questa mi pare la prova più ardua ma ineludibile con la quale dobbiamo tutti misurarci, se non vogliamo che l’insorgere dei nuovi soggetti non degeneri nella frantumazione e nella degenerazione corporativa o ‘autistica’ di questi nuovi protagonismi e se non vogliamo che essi finiscano per introdurre non una necessaria dinamica della democrazia, ma un’involuzione autoritaria fondata su un consenso di massa. Ecco, è da qui che vorrei verificare con te, dove in questa ricerca (...) siamo andati avanti e dove siamo rimasti fermi o addirittura siamo regrediti (...) Sono sicuro che ci troveremo in dissenso. Ma questo non ci può spaventare. Il nostro rapporto è così forte da reggere questo e altro”.