Cominciamo dalla notizia: nel consiglio di amministrazione del Festival di Cannes c’è anche la Cgt. È come dire che nel Cda della Mostra di Venezia, meglio della Biennale, oltre ai membri delle istituzioni locali, del Ministero della cultura, ecc, ci fossero anche quelli della Cgil. Il festival di cinema più glamour del mondo, insomma, al suo interno ha il più grande sindacato francese di sinistra.

UN FESTIVAL ANTIFASCISTA

È questo il primo indizio di una storia di tappeti rossi e lotta di classe che davvero sembra uscita da un film. E, invece, a raccontarcela è Tangui Perron, storico del cinema francese e di tutte le sue possibili connessioni col movimento operaio, che da poco ha dato alle stampe, in Francia, la sua ultima ricerca: Tapis rouge et lutte des classe (Les éditions de l’Atelier, 2024), dedicata alla nascita del festival di Cannes. Obiettivo, far luce su una storia poco nota, anche oltralpe, ma che da subito è illuminata dall’antifascismo. È in questo spirito, infatti, che nel 1939 Jean Zay, ministro progressista del Fronte popolare decide di fare la sua parte per contrastare la propaganda inarrestabile della Mostra di Venezia di Mussolini.

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CANNES VS LA VENEZIA FASCISTA

Già nel 1937, il capolavoro pacifista di Jean Renoir, La grande illusione viene snobbato. Quando nell’edizione 1938 salgono sul podio veneziano il documentario Olympia di Leni Riefenstahl, entusiasta cantrice di Hitler, e Luciano Serra pilota, in cui Goffredo Alessandrini celebra la campagna d’Etiopia (sotto la supervisione del figlio di Mussolini, Vittorio), per il ministro Jean Zay, è cosa fatta: la Francia avrà il suo festival del cinema e Cannes sarà la sede ideale. Complice la Costa Azzurra e la determinazione appassionata di alcuni rappresentanti locali.

Il Palais Croisette un tempo

COSTA AZZURRA, RIVIERA ROSSA

È così che il 1939 è la data stabilita per la prima edizione del Festival, antifascista sì, ma ancora senza gli operai e, piuttosto, i produttori americani. Ma l’invasione della Polonia da parte di Hitler il 1° settembre del 1939 fa svanire non solo il sogno del nuovo festival di Cannes. È a guerra finita che la volenterosa macchina festivaliera si rimette in moto. E a questo punto col pieno spirito della Liberazione, “trasformare Cannes in una vetrina per la gloria del cinema mondiale e della pace ritrovata”. Nonché l’intera Costa Azzurra in “Riviera rossa”, dove promuovere un turismo democratico, “un paradiso dei proletari”.

Tapis rouge et lutte de classe

I PADRI DEL FESTIVAL

Così infatti se l’immaginavano Virgile Barel, insegnante e presidente del consiglio generale del Pcf a Nizza, insieme agli altri due protagonisti di questa avventura dai toni epici: il deputato del Pcf di Cannes-Antibes, l’agricoltore Henri Pourtalet e il “medico dei poveri” Raymond Picaud, il sindaco più rosso che abbia mai avuto la città. Arrestato dall’Ovra italiana nel 1943, nel suo stesso studio a Cannes per la sua attività antifascista e per aver nascosto degli ebrei, Picaud conoscerà non solo le prigioni del collaborazionisti di Vichy, ma anche quelle italiane. La sua elezione a sindaco di Cannes nel 1945 è quasi scontata.

LA PRIMA EDIZIONE

Su queste basi nasce la prima edizione del Festival che si svolgerà dal 20 settembre al 5 ottobre del 1946. La guerra è appena alle spalle e l’Europa è un cumulo di macerie. Ma è anche il momento della ricostruzione e di tutte le sue spinte ideali. Lavoratori, lavoratrici, volontari sono chiamati a raccolta dal sindaco Picaud e dai suoi compagni per ridare lustro alla Croisette, che allora era ancora un lungomare tra i tanti. Mancano mezzi e materiali ma lo sforzo collettivo dà i suoi frutti. A ricompensarlo è lo stesso Palmarès che porta sul podio il film prodotto dalla Cooperativa generale del cinema francese (la Cgt del cinema, in pratica), Operazione Apfelkern di René Clément, elogio della Resistenza d’oltralpe e, in particolare, degli eroici ferrovieri tra i più attivi sabotatori di tedeschi e collaborazionisti. E che resteranno a lungo “sentinelle” volontarie del Festival come addetti agli ingressi. Molti anche gli altri film premiati, sempre nello spirito della Liberazione, tra cui figura anche Roma città aperta di Roberto Rossellini.

UN SIMBOLO OPERAIO

“Senza l'azione di questi consiglieri locali, in collaborazione con l'industria alberghiera di Cannes, il Festival non sarebbe potuto rimanere a Cannes nel 1947, soprattutto perché Venezia era tornata democratica", sottolinea Tangui Perron. Sarà proprio l’edizione del ’47 a legare per sempre il mondo operaio con il festival e renderlo leggenda. In soli quattro mesi sarà costruito il palazzo del cinema, Palais Croisette, edificio in stile modernista realizzato grazie agli sforzi collettivi dell’intera comunità. “Niente è impossibile per gli operai francesi” dirà dal palco dell’apertura il sindaco, accolto dagli applausi dei festivalieri e degli stessi lavoratori, al suono della Marsigliese. “Quel palazzo, allora, diventò il simbolo - prosegue lo storico - della mobilitazione di tutto un popolo di operai e operaie”.

UN ROSSO OGGI SBIADITO

Al posto del Palais Croisette, oggi, c’è un grande hotel di una multinazionale americana. Nel 1983 il comune ha edificato il nuovo Palais, subito soprannominato il bunker, e buttato giù l’altro. Nel corso degli anni, con il declino del Pcf e lo scoppio della Guerra Fredda, il lato mondano del Festival ha sempre più preso il sopravvento, relegando nel backstage maestranze e classe operaia. Anche se tra i vincitori figurano Ken Loach e i fratelli Dardenne, del rosso iniziale, insomma, è rimasto solo il tappeto. “Non so se la scelta di questo colore sia dovuta alla Cgt - conclude Perron- ma dovrò continuare le mie ricerche sull'argomento!”.

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