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Il Giffoni Film Festival ospita ogni anno, oltre ai film in concorso, un ricco calendario di percorsi formativi, rivolti ai ragazzi di tutte le fasce d’età, dai tre anni in poi. Per i più grandi, sono previste occasioni di approfondimento dedicate ai molteplici mestieri del cinema e dello spettacolo. L’edizione numero 55 ha scelto di dedicare un’attenzione particolare alla professione dell’attore, dando la possibilità ai giovani aspiranti artisti di incontrare casting director, produttori, doppiatori, registi, per momenti di scambio molto approfonditi.
Il mestiere dell’attore tra contratto e tutela sindacale
Proprio in questo solco si è inserito l’incontro promosso da Collettiva.it, in risposta all’invito del Giffoni Film Festival di provare a raccontare la professione artistica dal punto di vista del contratto, dei diritti e delle tutele. “Sì, ma di lavoro che fai?” è il titolo dell’incontro che ha visto sul palco Antonia Fama, attrice e giornalista di Collettiva, e Sabina Di Marco, segretaria nazionale Slc Cgil con delega alla produzione culturale. Un racconto a due voci che ha entusiasmato i ragazzi in sala. Non sono mancate, infatti, le domande su questioni più specifiche relative al contratto nazionale dell’audiovisivo. Ma anche momenti di condivisione emozionante, rispetto alle difficoltà che i ragazzi incontrano, confrontandosi quotidianamente con la performatività esasperata che i nuovi mezzi di comunicazione ci impongono. Il volto nuovo di una vecchia paura tutta italiana: quella del fallimento, rende i giovani terrorizzati all’idea di sbagliare. Un senso di inadeguatezza profonda, che li spinge ad accettare condizioni di lavoro per nulla dignitose: in nero, sottopagati, senza alcuna forma di tutela.
La condanna dell’eterna gavetta
“Sì, ma di lavoro che fai? Ma ci campi? Ti pagano” Sono le domande a cui si è costretti a rispondere. Come se la professione artistica non venisse considerata un lavoro. – dice Antonia Fama, sottolineando la centralità del tema identitario - Chi sono, quanto valgo, quanto sono bravo? Si pensa di valere poco perché si è pagati poco, e così si finisce invischiati nella condanna dell’eterna gavetta”.
Il lavoro artistico si paga
Il tema della retribuzione è centrale in un paese dove il salario medio annuo di un lavoratore dello spettacolo è di circa 11 mila euro. I dati provengono da un’indagine curata dalla Fondazione Di Vittorio per Slc Cgil, secondo cui nel settore lavorano circa 140 mila persone in maniera discontinua – seppur costante nel tempo – che diventano oltre 300 mila se si considerano tutti coloro che hanno versato anche solo un contributo previdenziale. Sono numeri interessanti da leggere e confrontare, perché ci rivelano una realtà al momento ancora troppo nascosta: lavoratori invisibili, che fanno fatica a sopravvivere solo ed esclusivamente della propria arte. “Il lavoro si paga, voi producete ricchezza e il cinema è un’industria – ha detto Sabina Di Marco ai ragazzi - L’idea dello sfruttamento è molto spiccata qui in Italia, ma il contratto collettivo nazionale esiste. Siamo riusciti a inserirlo per la prima volta nella storia di questo Paese. C’erano forti resistenze a regolare questo settore, partendo dall’idea banale che la creatività è fatta di deregolazione: niente di più falso, voi siete professionisti del settore. Un passaggio epocale è stata la pandemia, per la prima volta si è parlato di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo che producono ricchezza e concorrono al Pil”.
Sentirsi rappresentati per dire potre dire di No
I giovani aspiranti attori, oggi, si trovano di fronte una sfida importante: quella di provare a costruire una nuova soggettività collettiva, che sappia porre dei limiti allo sfruttamento, pretendendo il rispetto del lavoro e della dignità. Un passaggio epocale per tentare di trasformare quello che da sempre è un “non settore”, a causa di caratteristiche intrinseche come l’intermittenza, la multi-committenza, la forte competitività. Le regole oggi esistono, grazie alle battaglie portate avanti dal sindacato. “L’arte è rispetto della persona – replicano Fama e Di marco alla domanda di una ragazza sulla consuetudine diffusa del promettere un compenso in visibilità – Le carriere si creano anche con i “No” al continuo ricatto, alla paura di uscire fuori dal giro. Non dovete essere disposti a fare la fame e a rinunciare a tutto nella vostra vita per inseguire il sogno”. Ma quei No si possono dire solo insieme, dicendo Sì a un percorso di scambio e mobilitazione collettiva, che il sindacato porta avanti quotidianamente, costruendo una cultura del lavoro dignitoso e attraverso la forza della contrattazione.