È una Palma d’oro tutta politica quella di Cannes 75. Anzi di pura satira politica come ci ha abituati il geniale e irriverente svedese Ruben Östlund già impalmato nel 2017. Triangle of Sadness”, la sua nuova provocazione, è il suo sberleffo al capitalismo globalizzato: il naufragio dello yacht per super ricchi dove vanno alla deriva oligarchi, influencer di Instagram e fabbricanti di armi, compreso il capitano della nave, ultimo marxista rimasto al mondo, è la perfetta metafora del nostro Occidente allo sbando.

L’alternativa a questo mondo in rovina, invece, arriva sul podio con "Le otto montagne": Prix du Jury a una coproduzione europea in cui l’Italia mette due bravi attori come Alessandro Borghi e Luca Marinelli, ma soprattutto il cuore della storia. L’omonimo romanzo dello scrittore montanaro Paolo Cognetti, che i registi belgi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeesh hanno saputo interpretare nel suo spirito più profondo. Un’amicizia ad alta quota, tra le vette valdostane e il Nepal, alla ricerca di un posto dove fermarsi e riscoprire l’autenticità dell’esistenza, ben lontano dall’effimero fracasso del contemporaneo. Un luogo, insomma, dove tornare a respirare.

Un po’ come è successo a questa edizione anniversario del Festival che, dopo le incertezze della pandemia, è tornato a prendere una boccata d’aria chiamando a raccolta, nuovamente, i grandi nomi del cinema internazionale. Tutti presenti in prima fila nel concorso a scatola chiusa, nonostante film in molti casi con poche qualità e ancor meno emozioni.

 Eppure tutti premiati. Mai come quest’anno, infatti, la giuria capitanata da Vincent Lindon, meraviglioso volto di tanto cinema politico francese, ha portato sul podio addirittura dieci film, dilatando a dismisura il palmarès.

I due ex aequo nel Prix du Jury e nel Grand Prix du Jury  hanno permesso d'incoronare nomi storici come il polacco Jerzy Skolimowski ("Eo") e la francese Claire Denis ("Stars at Noon") qui in concorso con opere davvero minori. Come nel caso del coreano Park Chan-wook, palma alla regia per l’estetizzante ma non sorprendente "Decision to Leave", o il giapponese Hirokazu Kore-eda che vede incoronato come miglior attore Song Kang-ho, protagonista di "Broker".

Due sorprese vengono dai thriller politici "Boy from Heaven" dello svedese di origine egiziana Tarik Saleh, miglior sceneggiatura e Holy Spider, dell’iraniano Ali Abbasi in cui è l’interprete femminile, Zar Amir Ebrahimi, a ricevere il premio come miglior attrice.

Ma la vera scoperta del festival, e finalmente anche del palmarès, è "Close" del trentunenne belga Lucas Dhont sul podio (ex-aequo con Claire Denis) per il Grand Prix du Jury. Un racconto di formazione, un’amicizia particolare tra due adolescenti, una riflessione sulla fragilità umana che davvero colpisce al cuore per sensibilità e coraggio.

I ragazzini e gli adolescenti, del resto, sono stati i veri protagonisti di questo festival. Lo conferma "Tori et Lokita", nuovo film dei fratelli Dardenne sul dramma dei minori stranieri non accompagnati per il quale è stato tirato fuori un premio speciale del 75 anniversario. O anche "Les Pires", sorprendente film nel film di Lise Akoka e Romaine Gueret, vincitore della sezione collaterale del concorso Un certain regard. I bambini, insomma, continuano a guardarci. E per Cannes 75 è stato il suo modo di guardare al futuro. Nonostante un concorso (e il palmarès) di assolute riconferme e poche scoperte.